Addentare, mangiare…

Giorno lento, strano, lo osservo, cerco di comprenderlo, non mi fido, quando mi sveglio e il primo pensiero sei tu, tendo ad assumere un atteggiamento diffidente verso il futuro più prossimo – Qualcosa non quadra… – mi dico sospettoso, mentre mangio un pezzo di cioccolata, trappole mentali, cubi di Rubik distrutti, pezzi colorati sparsi un po’ ovunque, nell’incertezza della forma delle cose, del loro senso nascosto, risiede l’essenza di te, che si mescola al sapore del cacao, lasciandomi quel gusto dolce-amaro in bocca, riassunto perfetto del vortice che ci avvolge, di questo nostro perdersi per poi ritrovarsi, per poi perdersi ancora, ritrovarsi nuovamente, in una serie infinita di eventi, in parte puramente casuali, in parte voluti, pretesi, concessi perché dovuti, momenti effimeri, inafferrabili, addento un altro pezzo di cioccolata, chiudo gli occhi, sospiro, mastico lentamente, in sintonia con questo giorno, in sintonia con il mio gustarti, addentarti, mangiarti, nel cannibalismo che caratterizza il mio vivere sulla terra, risiede l’essenza di me. 

Apro gli occhi – Dove sei? – mi chiedo, leccandomi le labbra, la salivazione che aumenta, fame che cresce, il mio sguardo a scrutare il salone in maniera minuziosa, a cercar di individuare segni del tuo passaggio, strega che infesta il mio passato, il gatto dei vicini che compare improvvisamente alla finestra, miagola insistentemente, domanda la sua razione giornaliera di tonno, mi distoglie dai miei morbosi pensieri, voglie proibite, desideri inconfessabili, che ricaccio nell’oscurità, negli abissi della mia coscienza, mare nero che instancabile ondeggia placido alla luce di stelle morte secoli fa, acqua, o chissà quale altra sostanza liquida, che inghiotte tra i suoi flutti tutti i miei più terribili segreti. 

Apro la porta, il felino, quasi come fosse a casa sua, entra tranquillo, compie un paio di giri intorno alle mie gambe, strusciando il suo corpo al mio, dopodiché si avvicina al frigorifero, mi guarda, miagola ancora. 

Mi avvicino, prendo la scatoletta di tonno aperta, tolgo il cellophane, la appoggio per terra, lui si scaraventa sul cibo, io mi siedo, discretamente lo osservo, in silenzio, la sua lingua ruvida, i suoi denti aguzzi, il suo mordere ossessivo, gli occhi aperti, persi a osservare qualcosa che non vedo, sento un brivido che mi percorre lungo la schiena, terrore, angoscia – Sei mica tu? – chiedo a voce alta pronunciando il tuo nome, il felino interrompe il suo pasto, si volta verso di me, e con lo sguardo mi fulmina, quasi a rispondere in maniera affermativa.