Un dattero…

Addormentarsi così, un po’ di jazz, tanta stanchezza, felicità, sul comodino un bicchiere di vino, e come un medium in trance, comunicare con l’aldilà, richieste, pretese, trascendenza oltre il tramonto, la via del buio, mondi lontani. Appaio, scompaio, riappaio nuovamente, lo specchio a confermare le mie intermittenze corporali, in una spirale esistenziale sospesa tra l’essere e il non essere.

Fisarmonica, pianoforte, il braccio che si muove a tempo, le dita che disegnano nell’aria simboli antichi, archetipi conservati nel profondo del mio inconscio, magie eterne, contatti che si stabiliscono, molecole di me, molecole d’aria, respiro lento, abbracci atomici, oltre la fisicità.

Chiudo gli occhi, il corpo si stacca dal divano, mi faccio corrente d’aria e volo via, avvolto dal Mistral, dai profumi primaverili, brivido freddo, inaspettate trasparenze, oltre il nudo, niente.

Addormentarsi così, le note di jazz, gradini di una scala che sale verso l’universo più profondo, più buio, l’anima di tutte le cose, un cubo di rubik perennemente scomposto. Salire verso l’infinito e ritrovarmi dentro me, a casa, ennesimo passo verso un’esistenza immortale.

Un clarinetto, bufera di note, un’altro sorso di vino, un sorriso rivolto al soffitto, uno dedicato a te, che occupi i miei pensieri in maniera ingombrante, la staticità di un enorme pietra lavica, la sua durezza, chi sono? Chi sei? tutt’intorno un’intricata foresta buia, passi invisibili dentro di me. Calma.

Apro gli occhi, mi guardo intorno, il salone immerso nel silenzio, la musica terminata, il vuoto subito dopo l’orgasmo, energia che resta sospesa alle travi del soffitto. Una voce giunge da lontano, canta una nenia che non conosco, in una lingua che non comprendo, la mia faccia a poco a poco si scioglie, come cera, sono e non sono.

Addormentarsi così, morire così, tra le mie, tra le tue braccia, macabra danza in bilico tra il tutto e il niente, spazio frammentato in mille pezzi, la mente a rifugiarsi in un ricordo sicuro, lontano, troppo lontano. Addormentarsi così, il tuo sapore tra le mie dita, un mazzo di tulipani stretto nel pugno, l’odore di te a invadere le mie narici, ed io che volevo soltanto un dattero.