Fardelli di tempo…

Pensavo al profumo dell’erba tagliata, che anche in inverno ha un suo colore, solleticamento olfattivo, sinestesie emotive, scherzi sentimentali. Pensavo a questa foschia umida, a questo cielo, in parte nascosto, forse un po’ sporco, certamente non limpido. Pensavo a me, e al me di qualche secondo prima, e al me di un’ora fa, a quello ancora precedente, e via risalendo indietro nel tempo, negli anni, nella nebbia che dilagando ha avvolto il mio passato, oramai inesistente nel materialismo del qui e ora, oramai esistente solo nel cumulo di ricordi che mi porto dietro, sulle spalle. 

Ne sento il peso, di tutti questi momenti passati, di tutto questo tempo che mi ostino a conservare, a voler portare con me, chissà dove. Ne sento il peso, fardello che piano piano fa curvare la mia schiena, genuflessione, inginocchiamento, a onorare la vecchiaia, la morte forse, certamente la fine di qualcosa, di questa esperienza che chiamiamo vita, certamente l’inizio di qualcos’altro. Ne sento il peso, che cambia, in funzione di dove guardo, in funzione dei momenti che esploro, a seconda di dove dirigo la mia attenzione, di quello che mi ostino a voler o a non voler guardare. 

Frustrazioni così, di presenti e passati che si alternano, non so mai chi sia chi o che cosa, nell’illusione di esser nel presente mi ritrovo nel passato e viceversa, tempo indefinito, circolare, inesistente, spazio infinito, in un’eternità incomprensibile. Frustrazioni così, che scelgo di indossare in mattini come questo, con i fili d’erba tagliata che rimangono appiccicati alle suole delle scarpe, l’odore dell’umidità, i pochi rumori: pneumatici che ruotano sulle strade bagnate, voci lontane e incomprensibili, suoni indistinti di tecnologica natura, di città. Frustrazioni così, figlie di una realtà virtuale, tutta mentale. 

La vicina improvvisamente mi chiama, viene lenta verso di me, traina un carro, settanta, forse ottant’anni di vicissitudini, di vita, caricati dietro di sé, con la cura tipica delle donne del vecchio secolo, attente, meticolose. Sorride, mi porge un sacchetto di plastica, al suo interno tre vasetti di marmellata e un vassoio di meringhe. Scambiamo qualche frase che non riporterò, poi ci salutiamo, si volta, torna verso casa, a passo svelto. Il carro dietro di lei sembra più leggero, ad occhio e croce appare più vuoto. Il miracolo del presente, che agisce sul passato è qualcosa che raramente mi capita di vedere.