Paolo Conte mi ha portato via con sé

Sono a casa, seduto nel mio ufficio e sto scrivendo. La mia scrivania è rivolta verso una finestra che da su un bellissimo giardino in fiore, nascosto in parte da un paio di tende gialle non troppo spesse. Vicino a me la porta finestra lievemente aperta e la tenda, anch’essa gialla, che si muove sinuosa, spinta dal vento. Nell’aria gravitano le note di Max di Paolo Conte. Ascolto sempre Conte quando lavoro a qualcosa, soprattutto nei momenti di vuoto mentale, lui è l’unico che riesce a riempirli, quei momenti là.

Lo ascoltai per la prima volta a quindici anni, grazie ad un amico che mi prestò la cassetta di Una faccia in prestito. Era il novantacinque del secolo scorso, ed io, che ero un fan di Ligabue e Vasco Rossi, mi ritrovai nelle orecchie le meravigliose note dell’Avvocato di Asti. Da allora, non ho mai smesso di ascoltarlo, i suoi brani per me, sono rapidamente diventati una porta su un altro mondo. Parte la musica, chiudo gli occhi e subito compare l’ingresso che mi conduce in una realtà parallela. Non ha importanza dove mi trovi, le note giungono alle mie orecchie ed io mi sdoppio in due, in tre, in cento, posso essere contemporaneamente a Marsiglia e in Brasile, a Firenze e a Timbuktu in ogni dove, in ogni luogo, purché sia abbastanza esotico e misterioso da stuzzicare l’immaginario dell’essere umano e scacciare via le sue umane angosce. Paolo Conte è così se lo ami.

In uno spezzone del film-documentario che sarà presentato al prossimo Festival del Cinema di Venezia: Paolo Conte Via con me di Giorgio Verdelli, il celebre autore, che qualcuno paragona a Tom Waits e Randy Newman, ma che io e l’amico di cui sopra ci spingiamo a paragonare al Duca Ellington, dice di essersi accorto solo di recente della bellezza dei suoi testi, essendosi sempre occupato in maniera più approfondita della musica, piuttosto che delle parole. Evidentemente il maestro mente, sapendo di mentire per giunta, come può l’autore di: La morte contadina, che risale le risaie, fa il verso delle rane e puntuale, arriva sulle aie bianche, come le falciatrici a cottimo (Diavolo Rosso), Era estate, ho sentito l’inverno arrivare dagli angoli, da tutti i mille spifferi del nord (L’incantatrice), Tra i Francesi che si incazzano e i giornali che svolazzano, c’è un po’ di vento, abbaia la campagna, c’è la luna in fondo al blu (Bartali), Era un mondo adulto si sbagliava da professionisti (Boogie), Ma poi la strada inghiotte subito gli amanti, per piazze, ponti, ognuno se ne va, e se tu vuoi li puoi veder laggiù danzanti, che più che gente sembrano foulard (Madeleine), pensare ciò?

Non inserisco tra quegli estratti: Le donne odiavano il Jazz, non si capisce il motivo (Sotto le stelle del Jazz), che oltre ad essere una meraviglia, racchiude anche un doppio significato, da un lato ci si chiede per quale motivo le donne odiano il Jazz, dall’altro sembrano esser loro a spiegarci perché lo odiano, giustificandosi, dicendo che non capiscono il motivo. Siamo su un altro livello, Paolo Conte è essenzialmente su un altro livello.

Ma oltre le parole, quando si parla di Conte, ci si scontra ovviamente anche con la sua perfezione maniacale per la componente musicale dei pezzi. Gli esempi sono migliaia, ce ne sono uno per ogni sua canzone, di cosa vogliamo parlare, dell’Incantatrice? Di Max? Di Alle prese con una verde milonga? A me piace molto pensare a Diavolo Rosso per esempio, uno di quei pezzi che non conosce staticità, che con il tempo si modifica, implode, per trasformarsi anno dopo anno in qualcosa di differente. Basta prendere la registrazione del Live alla RSI (Radiotelevisione Svizzera) del 1988 e compararla con la versione del 2013 Live al festival Jazz di Montreux, per rendersi conto di come si sia evoluto negli anni questo brano del suo repertorio.

Quando oggi ho visto il trailer del film-documentario su Paolo Conte ho desiderato scrivere un pezzo su di lui. Volevo scrivere del mio legame con la sua musica, ma non ci sono riuscito, questo perché la mia vita è inscindibile dalla musica di Paolo Conte, che per me rappresenta e ha sempre rappresentato molto, colonna sonora di ogni momento, brutto o bello che sia, da quel novantacinque del secolo scorso a questo momento. Per esempio, è appena cominciata Schiava del politeama, dice: …giura che mai, tu passerai ad altre danze, come si passa in altre stanze, dai non ci si fa.Non vado oltre approfondite la sua conoscenza, se ancora non avete apprezzato le sue creazioni.