Lara

Quando nacqui, nell’ottantesimo anno del secolo scorso, Lara faceva già parte della mia famiglia da un bel po’. Era una bellissima Setter Inglese adulta, con il pelo bianco maculato di nero, fedele compagna di caccia di mio padre, con il quale ogni fine settimana, quando la stagione era aperta, scappava per i boschi. Apparteneva alla mia famiglia fin da quando era nata, a detta di mio padre era l’essere più buono che avesse mai incontrato e amava essenzialmente quattro cose, nell’ordine: lui, me, la caccia e il formaggio. Mio padre raccontava sempre due storie su questo animale e di solito, quando lo faceva, alcune lacrime scendevano giù dai suoi occhi arrossati.

La prima storia riguarda me appena nato, ancora in culla. Era un afoso pomeriggio estivo, io dormivo, mio padre era seduto in poltrona intento a guardare la tv. Colpito da un’improvvisa sonnolenza, si alzò per distendersi sul letto, ma prima di dirigersi verso la camera, guardò Lara distesa vicino alla mia carrozzina – Lara, vado a dormire, controlla che non succeda niente a Claudio e se qualcuno si avvicina mordilo! – disse, forse con un po’ troppa leggerezza, senza pensare che il cane avrebbe seguito alla lettera il suo ordine. Fu svegliato nemmeno quindici minuti dopo dal latrato dell’animale, che con i denti in vista e in posizione d’attacco, aggrediva mia madre che gridava – Renzo, vieni, Lara non mi fa avvicinare a Claudio! – nascosta dietro la persiana dell’ingresso. Quando mio padre arrivò in cucina di corsa per richiamarla, l’animale che capì immediatamente di aver effettuato il compito con un eccesso di zelo, si mise a guaire e autopunendosi andò a nascondersi nella rimessa, dalla quale uscì soltanto quando più tardi mio padre andò a cercarla per la cena.

La seconda storia, quella per la quale mio padre di solito si metteva a piangere, riguarda invece l’ultimo giorno di vita di Lara. Dovete sapere che, quando mio nonno lavorava nel grande campo dietro casa, il passatempo di Lara era quello di mettersi seduta sul tetto della sua cuccia ad osservarlo, fin quando non rientrava a casa. Una domenica mattina, mio padre si svegliò e, aperta la finestra della sua camera per fumare una sigaretta, com’era solito fare ogni giorno festivo, guardò lontano nel campo e vide mio nonno intento a tagliare l’erba medica, piegato su sé stesso, la falce in mano. Subito dopo spostò rapidamente lo sguardo verso la cuccia di Lara e con sua sorpresa, notò che non stava osservando mio nonno com’era solita fare, era invece sdraiata per terra vicino alla cuccia.

Mio padre si vestì velocemente, scese in giardino e chiamata Lara cominciò a giocare con lei, a farla saltare e correre. Niente, l’animale come ogni giorno sembrava in perfetta forma, pronta per una nuova avventura e lo guardava come a chiedergli – Padrone andiamo a caccia? Partiamo? – girando intorno a lui senza fermarsi un attimo. Rientrò in casa qualche minuto dopo, si avvicinò a mia madre che aveva appena preparato il caffè – Vera, il cane ha qualcosa…non sta bene – disse serio. Mia madre lo guardò – Ma se ci stavi giocando un minuto fa, se avesse avuto qualcosa lo avresti visto – rispose sorridendo. Mio padre scosse la testa – Ti dico che il cane ha qualcosa, quando mi sono svegliato questa mattina, non stava osservando tuo babbo nel campo come fa ogni volta che lo vede là! – disse ancora. Mia madre fece spallucce, lui si diresse verso il telefono e compose il numero di un amico veterinario. L’uomo gli disse di andare a casa sua con l’animale, così dopo aver attaccato, mio padre fece salire Lara in auto e partì.

Rientrarono qualche ora più tardi, entrambi tristi. Si sistemarono sul divano, lui seduto, lei distesa con la testa sulle sue gambe a guardarlo fissa, senza battere ciglio. Mia madre non disse niente. Il veterinario, una volta vista e visitata, aveva subito intuito il problema e ne aveva decretato l’imminente fine. A loro non restò che quel momento d’amore, su quel divano, nella grande cucina buia. Lara continuò a fissare mio padre senza battere ciglio, fin quando, nel tardo pomeriggio i suoi occhi non si chiusero definitivamente, su di lui e sulla vita, a causa di un avvelenamento. Qualche lacrima cadde dagli occhi di mio padre, non tante a detta sua, ma poco importa, le altre sarebbero scese più tardi, ogni volta che l’avrebbe ricordata nelle sue storie, nelle sue memorie.