Se un giorno d’inverno un ricercatore…

Una forte tempesta si abbatté su Chicago quel giorno del 2015. Una delle più violente che si fossero mai scagliate sulla città in quegli anni. L’avevano annunciata da giorni e c’erano stati ripetuti allarmi ai telegiornali, ma questo non aveva intimorito noi Chicagoans…eravamo sopravvissuti a un inverno da meno trenta gradi, che cosa mai avrebbero potuto farci un po’ d’acqua e due chicchi di grandine?

Io, se non ricordo male, mi trovavo in un ristorante tapas, quando le prime titubanti gocce, cominciarono a cadere. Nella mia mente, riaffiora sotto forma di un posto arredato in stile wild west ranch, con i tavoli inseriti in gazebi di legno grezzo, simili a stalle, e lampade a olio di plastica made in china, ma non so dirvi con sicurezza se quel luogo fosse davvero così o se l’opera generata nella mia mente dalla memoria, sia completamente falsa. Mi sembra di ricordare che mangiai qualcosa di piccante, mentre fuori la pioggia, la grandine e il vento aumentavano a poco a poco e si abbattevano contro la skyline con crescente, impressionante irruenza.

All’epoca lavoravo per la University of Chicago e vivevo nel South Side della Windy city, così chiamano Chicago, per via del forte vento che piuttosto spesso, soffia da quelle parti. Quel giorno mi ero recato downtown per incontrare Carola, una ricercatrice della Northwestern University. Ci eravamo dati appuntamento al Cloud Gate, la popolare scultura a forma di fagiolo posta all’ingresso del Millennium Park e poco prima che la tempesta, iniziasse a forzare il rientro delle numerose persone disperse in giro per le arterie della grande metropoli, ci eravamo rifugiati in quel ristorante, del quale francamente ignoro anche il nome. Non ci eravamo mai visti prima, un amico comune ci aveva messi in contatto per via dei nostri comuni interessi scientifici e avevamo deciso di incontrarci per sviluppare un progetto di lavoro insieme.

Dopo le presentazioni di rito, parlammo per delle ore, e ci immergemmo, in maniera sempre più approfondita nel suo interessante progetto di ricerca, per il quale aveva bisogno del supporto di un esperto con le mie competenze. Carola, per la cronaca si interessa delle aree cerebrali coinvolte nel processo del lampo di genio. Cercammo di radunare le idee, prendemmo delle note, ci accordammo per portare a termine il suo progetto, che prevedeva comunque tempi relativamente lunghi a causa dei nostri personali impegni di lavoro. Ci salutammo a sera inoltrata, quando sulla città sbattuta dal temporale oramai terminato, era già calata la notte. Io rientrai a casa felice, era stato un bel pomeriggio, semplice, piacevole. Ricordo che arrivato al mio appartamento, mi sedetti sul divano soddisfatto, con la sensazione che quell’incontro del tutto inaspettato avrebbe portato qualcosa di bello.

Poi successe il putiferio e altre tempeste arrivarono e si abbatterono sulla mia vita con irruenza ancor più forte di quella che aveva caratterizzato quel pomeriggio e il nostro incontro. La collaborazione si interruppe e con lei anche le comunicazioni, che poi ripresero ancora, per interrompersi di nuovo, fin quando nel 2017 decidemmo definitivamente di riprendere in mano la cosa e continuare sulla strada che avevamo intrapreso insieme. Da quel momento è stato un turbine di lavoro che a singhiozzi, un po’ per gli impegni di lei un po’ per i miei, è andato avanti, fino a qualche mese fa. Oggi la notizia positiva della conclusione…paper accepted, recita il timbro con sigillo apposto sul lavoro e io non posso che fare i complimenti a Carola e a me stesso in questo modo, per la tenacia con cui abbiamo portato avanti questa impresa che alla fine ha dato dei frutti fantastici.