Di risvegli e malinconia

Questa mattina alzarsi è stato più drammatico di sempre e anche la notte non è stata quel granché. Sono andato a dormire con un peso sul cuore e mi sono svegliato con quella stessa sensazione, aumentata nel corso delle ore in cui sono stato in stand by da sonno. Così, nella mattina che mi vede risorgere, illuminata da quei primi raggi potenti che trafiggono gli spazi tra i palazzi fino a raggiungere la mia finestra, non ho trovato niente di meglio da fare che correre intorno all’isolato, qui c’è ancora il lockdown, fino a quando il battito cardiaco non è accelerato talmente tanto, da far vibrare e mandar in pezzi quel blocco di cemento armato che lo opprimeva.

Adesso sono qui che prendo il caffè, cerco spiegazioni per quel peso comparso all’improvviso e non le trovo. Guardo al passato esplorando ogni singolo evento e il caffè si fredda, perché un ricordo tira l’altro, i pensieri si accavallano l’uno sull’altro ed è troppo invitante indugiare su alcuni di quei momenti. Casualmente, evito quelli che per assurdo potrebbero aver contribuito a far comparire quella sensazione opprimente sul mio petto, di gran lunga i più numerosi, custoditi nell’armadio dei miei ricordi, in un cassetto contrassegnato da una targhetta con su scritto: non aprire se non estremamente necessario.

Mi guardo intorno, la casa vuota, la luce che ormai è entrata praticamente ovunque ha vinto sul buio, io sono sudato per la corsa appena fatta e non ho ancora fatto la doccia. L’aria adesso è meno pesante di quando ho aperto gli occhi, c’è meno pressione, intorno e dentro me, una gazza si è posata proprio adesso sull’albero davanti alle mie finestre, portando con sé la sua leggerezza.

C’è la musica di un pianoforte nell’aria, ma è quello triste della Gymnopédies di Satie, molto minimalista, malinconico, con quel qualcosa di detto e non detto che si nasconde tra una nota e l’altra, differente dalla musica che ascolto di solito al mattino, che abbraccia le sonorità Jazz di Duke Ellington e Art Tatum.

Mi chiedo se la giornata si dipanerà dietro a queste note, se seguirà l’angosciante ritmo della notte appena passata o se, tra tutte queste miriadi di ricordi che sto andando a ripescare, troverò quello che cambierà il ritmo dei miei movimenti. Un tramonto forse potrebbe aiutare, quello a Key West in Florida, che ho visto varie volte, è meraviglioso. Qualcuno dice che sia il più bello al mondo, ma forse questa era solo l’opinione dell’Hemingway più malinconico, Hitchcock al contrario, pensava che il più bello fosse a Zadar, in Croazia. Ho visto anche quello, meraviglioso, ma entrambi forse non hanno mai posato i loro occhi su quello che compare sulla mia Vinci, o quello che saluta la notte davanti a Marsiglia. No, i tramonti sono tutti meravigliosi, sono forse l’immagine più divina di questa nostra realtà e decisamente non sono i ricordi giusti da rispolverare al mattino, sul nascere del giorno. Nonostante la tranquillità che si portano dietro, sembrano quasi spingermi a far volare il tempo, in qualche modo, a farmi saltare con un balzo l’intero giorno e arrivare nuovamente alla notte.

Rivivo quindi a una passeggiata di tanti anni fa, sulla passerella di legno che attraversava un lago in Toscana di cui adesso non ricordo il nome. C’era il vento fresco che alzava un po’ le onde e il cielo di un azzurro così limpido da riempire gli occhi fino a farne traboccare fuori le lacrime. La passerella, scricchiolando, finiva in un canneto al centro della grande massa d’acqua. C’era tranquillità, pace, armonia, là dove il mondo moderno era completamente scomparso ai miei occhi e si manifestava davanti a me solo un universo bambino tenero e innocente, che dondolando lentamente spinto dal vento, con il fruscio delle canne e degli arbusti a far da colonna sonora, si traduceva solo in puro e semplice amore universale.

Vado a fare una doccia fredda e poi, in qualche modo, tornerò a trovarmi.