Naufragato in città…

E mi ritrovo, casualmente, nel bel mezzo di una piazza, un po’ ubriaco, immerso in questa notte senza senso, settimana finita, Marseille a fissarmi negli occhi in segno di sfida, mi guardo intorno, una coppia che si bacia su una panchina, un gatto randagio, di colore nero, che rovista in un cassonetto, un ragazzo che suona la chitarra, custodia aperta per terra ad accogliere qualche spicciolo, una vecchia canzone di Gainsbourg appesa alle labbra, sorrido, mi piace come canta, lo ascolto volentieri, la testa un po’ ovattata dall’alcool, i riflessi rallentati, cerco nelle tasche, nel portafoglio, non ho moneta da dargli, ne sono incredibilmente dispiaciuto. 

Notte così, strana, viva, percezioni distorte, contorni che vibrano, vagando per la città, senza meta, mi sono ritrovato in questo luogo, mai attraversato prima, il ragazzo che continua a suonare, io che mi siedo sui gradini di una chiesa ad ascoltarlo, mentre a pochi metri da me, un senzatetto, disteso per terra, dorme tranquillo, russa, forse sogna, una bottiglia di gin da quattro soldi, vuotata del suo contenuto, stretta nella sua mano sinistra, un bastone di legno, tra le dita della sua mano destra.

Mi chiedo chi sia, provo a immaginare la sua storia, il suono della chitarra dell’artista di strada a farmi da colonna sonora, in un attimo mi ritrovo catapultato in altre situazioni, in altri mondi, altre avventure, vaneggiamenti, idee, suggestioni, ipotesi che nascono e rapidamente muoiono nella mia testa, Marseille che continua a fissarmi, io che non accetto la sua provocazione, notte senza senso, settimana finita, stanchezza, chiudo gli occhi, mi lascio guidare dalla musica del giovane chitarrista, dalle mie illazioni sulla vita del senzatetto e, complice l’alcool ingerito precedentemente, riesco finalmente a trovare un po’ di tranquillità, quasi mi addormento, mentre sulla panchina di fronte a me, i due adolescenti smettono di baciarsi, si alzano, come foulard, si perdono nel buio di una via laterale alla piazza, il gatto nero miagola, salta fuori dal cassonetto, si rifugia dentro al portone socchiuso di un palazzo, il giovane interrompe la sua esibizione, ripone lo strumento nella custodia, infila i pochi spiccioli racimolati in tasca, e poi, si avvicina a me, mi tocca la spalla – Tutto bene? – mi chiede – Tutto bene… – rispondo, aprendo l’occhio sinistro.