Realtà, sogno…

Un’altra notte si è consumata, tra le note di un consunto Chet Baker, qualche bicchiere di Armagnac in più, pensieri raffermi riportati alla coscienza, mentre aspettavo il tuo arrivo. Si allungano così certe serate, che si fanno notte, per poi trasformarsi nel miracolo del giorno, ore fatte di attese che crescono e poi si sgonfiano, occasioni mancate, che sfumano in passati mai diventati presente.

Non trovo di meglio da fare che guardar l’alba, il sole che spunta fuori da dietro le colline, i colori delicati che piano piano si fanno più caldi, più brillanti, mentre i minuti scivolano via. Mi chiedo, avvolto da una certa malinconia, cresciuta nel buio di questa notte insonne e sfamata adesso dai primi raggi del sole – Ma quante cazzo di albe abbiamo visto insieme io e te? – poi appoggio il bicchiere, troppe volte riempito e successivamente svuotato, nel lavabo e accendo la macchinetta del caffè.

Sento la stanchezza del corpo, percepisco i miei pensieri rallentati, il cervello, intorpidito dall’assenza di riposo, mi implora di stendermi, di chiudere gli occhi, di lasciarmi andare al sonno. Lo ascolto, lascio perdere il caffè, abbasso le tapparelle del salone e mi butto sul divano, forse mi addormento. Nei minuti che seguono non so bene cosa accada. Faccio sogni strani, mi perdo nei cammini che si aprono di fronte a me, visitando mondi onirici lontanissimi, forse mai esistiti, se non in una realtà che non sia altro che una complessa creazione cerebrale, fatta di spike e interazioni chimiche, meccanismi non troppo diversi dall’interazione neurale che determina la mia percezione della realtà di tutti i giorni. 

Realtà, sogno, interazioni neurali complesse che costruiscono questa mia percezione dello spazio intorno a me. Adesso, proprio mentre sto dormendo e riesco a percepire il mio sonno, davanti ai miei occhi ci sei tu. Mi accarezzi, ci baciamo, ci stringiamo forte in un abbraccio che percepisco come immenso. Mi guardi negli occhi, sorridi, dici che sono diventato troppo malinconico, che non sono più quello di una volta. Io sfoggio un’espressione rassegnata, non rispondo, tu mi parli di malinconia, di cambiamenti, io non so più cosa sia reale e cosa non lo sia e se questa parola, reale, abbia veramente un senso.