Stati febbrili…

In pieno delirio da febbre alta, mentre numerose immagini si sovrapponevano nella mia mente, l’una sull‘altra, come a ricostruire un film senza senso, ti ho incontrata. Notte fonda, fatta di risvegli, dolori, sudori e paure ricolme di solitudine, fatta di sogni strani, angoscianti, incomprensibili ai più,e in mezzo a questi, c’eri anche tu.

Sei scesa da una collina, un vestito bianco quasi trasparente a coprire solo superficialmente il tuo corpo, le tue forme, che nella silhouette scura sotto il tessuto, apparivano ancora più delicate, sfiorate dalla luce del sole che dietro di te volgeva al tramonto.

Scalza, camminavi lentamente verso di me, la mano sinistra a sollevare lievemente il lungo vestito bianco, quella destra impegnata a stringere tra le dita un rametto di pesco in fiore. Non so dire quanto tu ci abbia messo a raggiungermi, era come se la mia percezione del tempo fosse distorta, quello che so invece, è che quando sei giunta a pochi centimetri da me hai sorriso e mi hai abbracciato.

È stato meraviglioso perdermi in quella stretta, mentre osservavo la tua pelle bianca e i tuoi occhi marroni pieni d’amore. Ti ho sollevata a qualche centimetro da terra serrandoti a me ancora più forte, i tuoi lunghi capelli biondi s’intrecciavano coi miei, ti ho accarezzata sul viso, la testa.

Poi, improvvisamente, prima ancora che potessimo dirci qualcosa, un vortice ci ha spazzato via, tu, la collina, il sole, siete scomparsi, e mi son ritrovato solo, in una notte fatta di stelle e luci lontane, intento a camminare senza sapere dove stessi andando. Il paesaggio si è rapidamente modificato in bosco autunnale, spiaggia invernale, campo di grano e ancora, un luna park abbandonato e uno stabilimento termale, dove un orchestra suonava un pezzo che forse conoscevo. Disperato, attore su un teatro mentale indefinito, gli scenari che si susseguivano senza senso, ti ho cercata ancora in ognuno di quei luoghi, negli angoli più sperduti della mia mente, ma non sono riuscito a ritrovarti.

Mi sono svegliato di soprassalto, l’amarezza di non aver potuto udire la tua voce, suono ineguagliabile, che non sento oramai da più di trent’anni.