Ancora un sabato dicembrino, un giorno in meno a Natale. Sul periodo natalizio ho sentimenti alterni, lo amo e lo odio a seconda di dove i miei occhi cadono, in funzione dei sentimenti che esploro, dei ricordi che affiorano, a volte come carezze altre come cazzotti nello stomaco, nella mia mente.
È un periodo costruito essenzialmente su ricordi felici che, sempre più spesso all’avvicinarsi del ventiquattresimo giorno, si scontrano con mancanze e ferite mai rimarginate. Sono lesioni, almeno le mie, che volontariamente non faccio guarire, quel dolore, quella malinconia infatti, diventano ai miei occhi, un onorare chi dovrebbe esserci e non c’è più, candela eternamente accesa sull’altare della commemorazione.
Inoltre, questo stato d’animo languido a tratti appiccicoso, come il miele che cola fuori dal barattolo quando lo prendiamo con il cucchiaino, o la resina del pino, che rimane appiccicata alle mani, quando gettiamo l’ennesimo legno nel caminetto, mi fa comodo, giustifica il mio muovermi lento, il mio osservare sornione, giustifica quell’alone sbiadito che, al mattino festivo, mi spinge ad allungare la mia permanenza nel letto a orario da stabilire.
Con l’avvicinarsi del Natale, la mia frequenza di risposta al telefono si rarefà e anche le connessioni al web diminuiscono. I momenti di vuoto mentale aumentano invece e quando torno sulla terra è tutto un ricordo di voci e profumi. Una festa invisibile, solo per i miei occhi. Con l’avvicinarsi del Natale divento uno Scrooge dei sentimenti, è il dono che mi faccio, una ricarica dell’emotività, del piacere personale della felicità.
Anche oggi il giorno è iniziato così, onorando i Natali che furono e che così rivivono ancora e ancora, in una spirale vertiginosa, inarrestabile, infinita. Le candele dell’avvento sono sul tavolo, bruciate a metà, a testimoniare che mancano dodici giorni alla Vigilia. Santa Lucia, protettrice della vista e perché no, della luce stessa, vista l’etimologia del nome, lustra già le scarpe e prepara la veste bianca da indossare domani, la cintura rossa da legarsi intorno alla vita e la corona composta da foglie e da sette candele, che l’aiutano a vedere meglio.
Mi preparo un tè, prendo qualche biscotto dalla credenza, penso a quando ero piccolo, a quando i biscotti li preparava mia nonna, e penso anche al buonissimo Plumcake del fornaio vicino casa, che lei andava a ritirare nel periodo natalizio e che aveva ribattezzato il Brunché, letto alla toscana, ovviamente.
Mi guardo intorno, esploro minuziosamente l’arredamento del salone, non c’è nemmeno un addobbo natalizio. Adesso mi vesto, vado a comprare un albero e l’occorrente per decorarlo. Domani, se avrò voglia lo allestirò in mezzo alla grande stanza, altrimenti lo lascerò intrappolato nella rete, appoggiato alla parete, e sparpaglierò le palline e i decori qua e là, inventerò il primo Natale molecolare.