Smart-Working…non troppo smart…

Mai come quest’anno abbiamo sentito parlare di Smart-Working, spesso a vanvera, in un tripudio di cazzate sparate a caso dal giornalista di turno, che, lanciandosi in mirabolanti previsioni sul futuro dei lavoratori, millantava conoscenze e esponeva concetti che, non solo non capiva, ma che erano completamente sbagliati.

Il problema che sta alla base di questi errori, è che pochi, veramente pochi, sanno cosa significhi fare Smart-Working, tanti infatti lo confondono con un più sobrio: telelavoro o Home-Working. La prima grande differenza tra le due modalità lavorative è che nel primo caso, c’è una forma di contratto (una legge definisce infatti lo Smart-Working), tra il lavoratore e la sua azienda. Questo contratto, prevede che il collaboratore svolga una parte del lavoro (che può variare in termini di tempo), fuori dall’ufficio, ovvero dove cavolo gli pare. Nel secondo caso, non c’è un contratto a vincolare il telelavoro, si parla semplicemente di lavoro che potrebbe essere svolto in ufficio, ma che per qualche ragione, in questo caso la pandemia, viene svolto a casa. È un po’ come lavorare da remoto.

La quasi totalità delle persone che hanno lavorato da casa durante la quarantena, hanno fatto, appunto, Home-Working, ovvero hanno usato i propri computer, con la propria connessione internet, utilizzando i propri mezzi casalinghi, per fare ciò che altrimenti, avrebbero fatto in ufficio. Questo non è affatto Smart-Working e infatti di smart non ha proprio niente.

Coloro che hanno fatto Smart-Working, non solo si sono visti mettere in regola in termini di contratto, ma hanno ricevuto un computer dalla propria azienda o ente lavorativo e tramite server VPN idonei, spesso installati dai tecnici dei loro datori di lavoro, sono stati messi in condizione di svolgere le proprie funzioni in maniera ottimale, da casa. Non solo, molti di loro hanno ricevuto scrivania, sedia e contributi per il pagamento della connessione internet e delle bollette della luce. A quelli veramente fortunati poi, le aziende hanno messo loro a disposizione, formazioni online per capire come utilizzare i programmi per le videoconferenze e per lavorare da casa.

Se coloro che hanno fatto Smart-Working sono stati veramente pochi, ancora meno devono essere stati i fortunati che hanno potuto godere di una formazione relativa ai programmi di videoconferenza, visto il gran numero di fatti curiosi che si trovano su internet, riguardo all’utilizzo del programma Zoom per le videochiamate di lavoro. Centinaia di persone, in contatto con colleghi e datori di lavoro infatti, si sono dimenticati, una volta terminata la riunione o la chiamata che avevano effettuato, di disconnettersi, creando situazioni che vanno dall’esilarante al grottesco.

Non è stato raro che impiegati e datori di lavoro di varie aziende assistessero così a esibizioni canore, imprese culinarie, discussioni, di qualche collega che lavorava da casa e che aveva dimenticato di chiudere la videochiamata. La situazione più grottesca è capitata sicuramente ad alcuni giornalisti del The New Yorker, che si son ritrovati ad assistere alla masturbazione di un loro collaboratore che stupidamente aveva lasciato la videochiamata aperta.

L’uomo, uno degli analisti giuridici più noti, nel mondo dei media statunitensi, collaboratore del giornale e della CNN da più di venticinque anni è stato sospeso in attesa di un chiarimento sulla vicenda. Non essendo uno di quei giornalisti da pronostico e non essendo nemmeno un giornalista, non so darvi previsioni sul futuro del mondo lavorativo e su quali saranno i tempi e le modalità di sviluppo dello Smart-Working, quello che so dirvi invece, è che nell’attesa, ne vedremo indubbiamente delle belle!