Nebbia, fumo…

Uscito di casa per prendere il caffè, come faccio ogni giorno da quando ho un giardino, mi son ritrovato avvolto da una nebbia surreale, come se dall’altro lato della strada ci fosse stato Fellini a gridare – abbonda…abbonda con la nebbia…dai…dai… – e poco distante da me fosse apparso il nonno di Amarcord – Dov’è che sono. Mi sembra di non stare in nessun posto. Ma se la morte è così, non è un bel lavoro. Sparito tutto: la gente, gli alberi, gli uccellini per aria, il vino…Te cul – inquietudine.

Mi son seduto su una panchina, di fianco alla pianta di fico che si specchia nel pozzo – Ci sono ancora un po’ di frutti… – ho pensato, ed ho allungato una mano per coglierne uno. Il sapore estremamente dolce, in contrasto col caffè che bevo rigorosamente amaro e con l’aria nebbiosa, pungente, morta in una trasparenza resa percepibile dalle particelle solide o liquide sospese in essa, mi ha fatto rabbrividire. Ho guardato in alto, l’alone pallido del sole, puntino bianco oltre la nebbia fitta, fantasma di sé stesso. I colori intorno a me, quasi tutti scomparsi. Il mondo mi è sembrato, per un attimo, un fotogramma preso da qualche vecchio film in bianco e nero, quella roba che anni fa trasmettevano sui canali Rai nel cuore della notte, in quell’inserto chiamato – Cose mai viste… – appunto.

Il portone del palazzo si è aperto, una bambina è uscita, il blu del suo cappello e del cappottino, primo colore del mondo presentatosi davanti ai miei occhi. Mi ha guardato, non ha detto niente, è corsa via oltre il cancello, sparita, inghiottita dalla nebbia.

In strada rumori di auto e camion, qualche clacson lontano, forse della musica, asfalto, sferragliamenti meccanici, ogni tanto qualche passo proveniente dal marciapiede, al di là della siepe che circonda il giardino della mia palazzina. Il tic-tac dei passi veloci, sezione ritmica di un’orchestra che suona una sorta di musica urbana, diffusa nella nebbia.

Ho cercato le sigarette e l’accendino nella tasca, con un movimento meccanico, automatico, involontario. Non le ho trovate, alla coscienza il ricordo, non fumo più da un anno. Per curiosità ho preso il telefono e ho guardato sul calendario la data esatta dell’ultima sigaretta, registrata come per ricordare un santo qualsiasi, San Fumo. Con sorpresa ho scoperto che il giorno è oggi – Il mio inconscio, il mio corpo, i miei cazzo di neuroni, conoscono molto più di me la mia vita… – ho pensato e non ho potuto far a meno di chiedermi cosa voglia dire in questo caso me, e di pensare a quanto sia orribile e perversa, questa tendenza naturale che abbiamo a percepirci come un qualcosa che va al di là del nostro corpo e non come il prodotto di quell’attività neurale stessa, di tutte quelle miriadi di cellule.

Ho scosso la testa – Se comincio a farmi queste pippe mentali alle sette di mattina a sera non ci arrivo… – ho pensato, cercando di ricordare l’ultima sigaretta fumata un anno fa, l’ultima volta che sono tornato in Toscana, a casa.

Un anno esatto che non tocco una sigaretta, che non accendo la pipa, che non tocco un sigaro, anniversario quindi, ricorrenza che si presenta in una giornata avvolta da nebbia, che, adesso, mentre scrivo questo post, ripensandoci, sembra fumo. L’universo mi sta dicendo qualcosa?