Fine del mondo sulla strada per Roswell

Parcheggiai l’auto in un piazzale ghiaioso e mi diressi verso quella che sembrava una locanda. Intorno al vecchio edificio non c’era assolutamente niente, eccetto campagna a perdita d’occhio e la strada polverosa che connette Austin a Roswell. Non ricordo perché nel duemilaquindici avessi deciso di andare proprio in quel posto semi-dimenticato da Dio, probabilmente avevo approfittato di un fine settimana per fare un giro negli stati del sud e noleggiata un’auto, mi ero diretto verso la popolare cittadina, teatro, secondo la leggenda, della caduta di un disco volante.

Attraversai la strada ed entrai nella locanda della quale francamente non ricordo il nome. La sala era buia, i pavimenti erano in legno, rovinati dal passaggio di qualche migliaio di stivali e inclinati dal tempo e dalla pressante umidità che regnava nella stanza. C’era un pianoforte verticale appoggiato ad una delle pareti rivestite da listelli di legno e decorate da insegne promozionali delle birre più note. Mi avvicinai al bancone e mi sedetti su uno degli sgabelli. Guardai il soffitto sul quale erano state appuntate, banconote da un dollaro ingiallite. C’erano due cameriere, magre, i capelli imbiancati dal tempo, decine di rughe scavate sul loro viso. Avevano entrambe l’aria stanca, come se avessero terminato la voglia di vivere o, in alternativa, avessero vissuto la storia d’amore più lunga e estenuante mai nata in questo universo. Una di loro si avvicinò a me, e cercando nella sua memoria un sorriso che non ricordò, mi chiese a labbra strette cosa desiderassi. Mangiai un hamburger con patatine e bevvi una birra, nel silenzio della sala, lo sguardo interrogativo delle due donne su di me, intente probabilmente a chiedersi come fossi finito da quelle parti. Pagato il conto e ringraziato, uscii fuori dalla locanda e proprio mentre stavo accendendo una sigaretta, un senzatetto si avvicinò a me.

Era magro, aveva la pelle completamente bruciata dal sole, una barba bianca abbastanza curata e indossava vestiti puliti, ma sbiaditi. Gli occhi erano talmente chiari da farlo sembrare cieco. Teneva nella mano destra una corda che partendo dalle sue dita strette e rinseccolite, terminava intorno al collo di un asino grigio. L’animale, in pessimo stato trainava un carretto di legno decorato con palloncini, piume di uccelli e cartelli che annunciavano la fine del mondo. Buongiorno! – mi disse sorridendo – Sto andando a Roswell per l’apocalisse che dovrebbe accadere tra un mese. Si stanno scatenando una terribile serie di eventi, ci sarà follia e morte ovunque, tutti bruciati in cenere. Un’auto passò proprio in quel momento e lui la indicò – A queste persone piace la loro vita comoda, ma non gli piacerà più quando gli animali si libereranno e prenderanno di nuovo il loro posto!

Misi la sigaretta in bocca e aspirai – Come ti chiami? – chiesi – Mi chiamo Matt, ma Dio mi chiama con un altro nome. Per anni l’ho sentito parlare…rivolgendosi a me con il nome: Peter. Ho pensato che avesse sbagliato persona. Poi ho capito che Peter probabilmente era il mio vero nome e adesso lo ascolto… – rispose alzando il dito verso il cielo. Ricordai di averlo notato qualche chilometro primo della locanda – Ti ho visto un ora fa sulla strada a qualche chilometro da qui… – dissi – Dio dirige il traffico intorno a me in modo che le auto non mi colpiscano… – rispose serio – Mi piace il tuo carro, ma che cosa vogliono dire tutti questi simboli che hai inciso sul legno? – chiesi ancora probabilmente infastidendolo – Ora ho finito di parlare… – rispose lui in modo gentile ma deciso. Dopodiché frugò nel carro, mi porse una Bibbia come regalo d’addio e si rimise in strada per affrontare la distruzione dell’universo.

Restai a guardarlo perplesso, la Bibbia in mano, fin quando il rumore della porta della locanda distolse la mia attenzione altrove. Una delle due cameriere era uscita per fumare una sigaretta Un altro vagabondo… – disse – L’altro giorno proprio su questa strada ne è passato un altro con un carretto simile trainato da un asino. Un asino incinta. Si è offerto di vendermelo. Ho dovuto chiamare a casa per chiedere a mio marito se potevamo investire in un asino, ma ha deciso di no, sarebbe stato troppo difficile per noi mantenerlo.