Quante volte…

Quante volte ti ho attesa, in queste notti, sospirando, cercando di te in ogni ricordo da me conservato, vagando ora qui, ora là, nei luoghi che ci hanno visti insieme, respiri, abbracci, complicità che avvolge me, te, i pensieri che ci accomunano, ciò che ci piace, ciò che non ci piace, milioni di esperienze di ogni genere e varietà, e poi, respiri, battiti di cuore, fin troppo facile esistere in te, versione speculare di me, specchio, prima intero, adesso infranto, centinaia di treni partiti, arrivati, partiti ancora, passeggeri, personalità multiple inglobate in te, raggruppate in me, difficile capirmi, capirti, complicato perfino intuirmi, intuirti, io che allungo la mano sul tavolino alla ricerca di un pacchetto di sigarette, di un accendino, e che ricordo improvvisamente di aver smesso di fumare da almeno due anni, l’espressione amareggiata di colui che ricomincerebbe immediatamente, impressa sul volto, gli occhi persi nel vuoto.

Quante volte ti ho attesa, in queste notti, osservando questo salone, sbrilluccichio fioco proveniente da una lampadina a illuminarne una parte, il buio a ricoprire tutto il resto.

Quante volte ti ho attesa, sperando di vederti comparire dall’oscurità, la tua voce proveniente da molto, troppo lontano a raggiungere le mie orecchie e poi, tu che oltrepassi la soglia tra le tenebre e la luce, ti materializzi in carne e ossa, ti avvicini, mi abbracci, mi baci, torni ad esistere con me, in me.

Sorrido, scuoto la testa, cerco ancora le sigarette sul tavolino, la mano che si muove a tentoni, provo ad afferrarle, senza successo, l’espressione amareggiata di colui che ha smesso di fumare da tempo, ma che ricomincerebbe immediatamente, impressa sul volto, tutt’intorno il silenzio più tetro, cupo, pregno di milioni di suoni oscuri, eco che proviene direttamente dagli inferi, comunicazioni di servizio tra me e gli altri demoni, comunicazioni di servizio tra me e te, la paura che sale, invade il mio cuore, l’angoscia che comincia ad abitare la mia coscienza, brividi lungo tutta la schiena, titubanza nello stendere i passi in direzione di una meta che ancora mi è sconosciuta.

Quante volte ti ho attesa, in queste notti, disperazione ad avvolgermi, stringermi, soffocarmi, paura, solitudine, terrore di stendere il prossimo passo, verso te, che poco fa hai oltrepassato il portale tra il regno dei vivi e quello dei morti, materialità nell’immaterialità, mi hai guardato negli occhi, penetrando le mie retine, raggiungendo così ogni angolo del mio cervello, una sola frase a riempire le mie orecchie, i miei neuroni – Sì, lo voglio anche io… – il canto di un gallo disperso nella campagna, a farti da eco.