Everything happens to me…

Ora che sono stanco, che mi accingo a lasciarmi andare alla notte, il silenzio a riflettere i miei ultimi pensieri, ti sento, ti percepisco, più vicina, un respiro, un movimento delicato che mi avvolge, abbraccio, voragine, sprofondo in te, mi accogli, perdizione, sensualità, quel che resta di un bacio, vuoto che si estende da qui all’infinito, presente che integra passato e futuro, momento indistintamente eterno, quel che resta delle mie parole, una quantità infinita di cose non dette, lasciate intuire, volontariamente nascoste, qualcuno che improvvisamente si mette a suonare un pianoforte, everything happens to me, mi nutro di te, cellula dopo cellula, chiudo le palpebre, percepisco il tuo, il mio battito cardiaco, sincronizzazione, le apro nuovamente, non ci sei più, davanti a me, la bottiglia di vino, poggiata sul comodino, vetro che riflette solo il mio volto, salone vuoto, buio a circondarmi, dita che percorrono i tasti del pianoforte, bianco e nero a sfiorarsi, alternarsi di note, luna che sbuca fuori da una nuvola a rischiarare un po’ la notte, fascio di luce che penetra il vetro della finestra, disegna un cerchio luminoso sul pavimento – Eppure ti avevo avvertita, che le cose sarebbero andate così… – penso, un velo di tristezza a coprirmi il volto, a scendere sui miei occhi, ad appannarmi la vista, mano tremante che accarezza la parete, storie di altre solitudini, misteri della mente, coinvolgimento dei sensi, confusione mentale, quel che resta di un momento eterno, fotogrammi di un film già visto, dialoghi scontati – E se le cose fossero andate in maniera differente? – dico a voce alta, mentre stappo un’altra bottiglia di vino, ne verso un po’ in un calice, bevo, un solo sorso, prima di lasciarmi cadere sul divano, il misterioso pianista che continua a suonare, everything happens to me, percepisco il vuoto, l’universo che prende tempo, respira, percepisco il mio cuore, il mio esistere, qui, ora, ovunque, sempre – Nient’altro da dire, nient’altro da confessare… – penso, guardando il soffitto, immaginando la persona che sta battendo le dita sui tasti del pianoforte, chiudo definitivamente le palpebre, lentamente mi perdo oltre la porta del sonno, mi allontano dalla veglia, mi addentro nel sogno, e qui ti ritrovo, ti sento, ti percepisco, più vicina, un respiro, un movimento delicato che mi avvolge, abbraccio, voragine, sprofondo in te, e tu, tu mi accogli – A che punto è la notte? – mi chiedo, senza trovar risposta, presente che si allunga da qui all’infinito, integra passato e futuro, momenti, momenti, momenti e poi, ancora tu.