Roland…

Sulla riva di un lago, alta montagna, acque cristalline, il fondale completamente visibile ai miei occhi, salto, arrivo dall’altra parte, torno indietro, lo sguardo stupito di un vecchio seduto su una panchina a tentar d’incrociare i miei occhi – È solo un gioco di prestigio, un’illusione… – dico sorridendo, qualche libellula che vola via lontano, una farfalla bianca che compie un giro intorno alla mia testa e poi, rapidamente scompare, rimescolio in corpo, confusione tra i pensieri, capogiro, voglia di vomitare. Materializzarsi e smaterializzarsi, non sono operazioni semplici, si rischia sempre che qualcosa vada storto, perdizione, distruzione, follia che dilaga, la mente che si perde in un altrove irraggiungibile. 

Conoscevo un tale, che viveva a San Francisco, si chiamava Roland, riusciva a scomparire ed apparire a suo piacimento, attraversava le pareti per recarsi da una stanza all’altra della sua abitazione, faceva apparire oggetti, fiori, animali, dopodiché li faceva scomparire, e tutto tornava “normale”, o quasi – Un giorno capirai che quello che faccio non è un gioco di prestigio, e che questo… – diceva indicando il mondo tutt’intorno – …è la vera illusione… – e un istante dopo svaniva, niente restava di lui, fin quando, “per caso”, non ci incontravamo nuovamente.

Sorrido, chiudo gli occhi, provo a far comparire un mazzo di rose nella mia mano sinistra, non ci riesco, scuoto la testa. Un bambino mi osserva, lo sguardo strano, prova a ripetere alcuni dei miei gesti, come se sapesse esattamente, quello che sto cercando di fare, alcuni fiori variopinti compaiono nella sua mano destra, stretta a pugno, me li offre, si allontana scomparendo mentre lo guardo, la sensazione degli steli tra le mie dita che si affievolisce, mi volto, osservo la mia mano, i fiori non ci sono più.

Provo di nuovo a smaterializzarmi, a saltare nuovamente il lago, non ci riesco, impossibilità di ripetere volontariamente un gesto che, pochi minuti prima, mi è venuto spontaneo, quasi come respirare, quasi come vivere, quasi come morire, la voce di Roland che riecheggia tra le montagne – Un giorno capirai… – dice, mentre la sua mano batte sulla mia spalla, tre colpetti, un ritmo veloce, musicale, mi volto, il lago, le montagne, tutto scompare, intorno a me il vuoto, luce ovunque, chiudo gli occhi, li apro, sono nel mio letto, il cuore che batte, sudore freddo, sul comodino il telefonino che vibra, lo prendo – Ciao Claudio… ti informo che Roland è morto qualche ora fa… – dice il messaggio appena ricevuto.

Sento una fitta al cuore, la tristezza che sale – Un giorno capirò, sì, un giorno capirò… – dico a voce alta, una mano che mi batte sulla spalla, tre colpetti, un ritmo veloce, musicale, mi volto, intorno a me il nulla, luce ovunque, conforto nello sconforto.