Amputazione domenicale…

Domenica mattina avvolta di mistero, sensazioni sparse, malinconia, tristezza, dolore, tutto apparentemente senza fondamento, fuori, un sole tiepido, nuvole scure all’orizzonte, un po’ di cielo azzurro, dentro, penombra, tapparelle in parte abbassate, un vecchio vinile di canzoni popolari toscane, chissà come, scampato ai numerosi traslochi in giro per il mondo, che gira sul piatto, abbatte il silenzio, ogni tanto, fa nascere sul mio volto un sorriso poco spontaneo, svogliato, mentre ai miei piedi, si allargano lentamente due pozze di sangue.

Qualche minuto fa, con una mannaia ben affilata, il tagliere di legno a fare da supporto, mi sono amputato gli indici delle mani, così, adesso, non posso indicare più nessuna luna e, da quello stolto che sono, non posso più osservare nemmeno il dito, vecchia storia questa, del salire in cattedra per sé stessi e poi pentirsene, oscillare lento e continuo nell’insicurezza della vita, giorni e notti che si susseguono senza sosta, e poi, il nulla assoluto.

Non ci ho riflettuto molto, quando prendo decisioni come questa, sono così, diretto, convinto, ho afferrato la mannaia con la mano destra, poggiato l’indice sinistro sul tagliere, chiuso gli occhi e tagliato senza pietà, un po’ di dolore all’arto amputato, sangue ovunque, il dito schizzato chissà dove, questo il risultato della mia folle impresa. Più complicato è stato amputare l’indice destro, visto che io con la mano sinistra so fare poco o niente, suonare la chitarra, battere sui tasti della tastiera, tenere la forchetta mentre taglio la carne, ma alla fine, con non pochi sforzi e con molto dolore, ho concluso l’opera.

Adesso sono qui, seduto sulla poltrona, le braccia poggiate sui braccioli, le mani ciondolanti, due pozze di sangue ai miei piedi, il mio cane immaginario che mi osserva, gli occhi tristi, indeciso se abbaiare per chiamare qualcuno o se restare calmo, seduto, ad attendere un cenno delle mie restanti dita, una parola, uno sguardo.

Adesso sono qui, la lucidità che mi abbandona, assopirsi lento, stanchezza, vuoto mentale, i vecchi toscani che, fisarmonica alla mano, intonano stornelli a ripetizione, un raggio di sole che filtra dalle tapparelle in parte abbassate, e dai moncherini, due dita che lentamente spuntano, a rigenerarsi, a ricrearsi dal nulla, vecchia storia anche questa, del ripetersi della vita, illusione dell’esistenza. Rido.