Lame, sangue…

Ti immagino, e nello stesso attimo, di te nego l’esistenza, controversie del pensiero, illusione, sogno, realtà impalpabile, senso e tempo oramai perduti in mille spiegazioni, sfumati insieme a un bicchiere di vino rosso versato nella pentola, preludio al ragù che sto preparando, modo, gesto, per esser di nuovo in comunione con te, ricette sparse in un quaderno sul quale è scritto quello che dovrebbe essere il tuo nome, e abbandonato qui, chissà quando, chissà perché, chissà da chi, visto che forse, non sei mai esistita.

Istruzioni per l’uso, calligrafia a tratti incomprensibile, movimenti di una mano, forse la tua, che in passato ha disseminato su queste pagine oramai ingiallite, conoscenze culinarie di vario tipo, misteri sepolti tra i fornelli, tra i barattoli di spezie, dietro i vasi contenenti piantine di basilico, timo, rosmarino, in questa immagine che ho di te, un grembiule bianco, schizzi rossi di pomodoro, gocce di sangue per terra, un coltello piantato nel fianco, la fine di una storia, l’inizio di un amore, di un continuo nascere e morire figlio di eternità lontane, padre di futuri infiniti, oltre lo spazio e il tempo.

Ricette di vita, ingredienti, morte cucinata a fuoco lento, chiudo gli occhi, mi chiedo chi ti abbia uccisa, vedo nuovamente il tuo corpo inerme disteso a terra in una pozza di sangue, e a pochi centimetri dalla tua mano, il mestolo di legno che adesso sto stringendo tra le dita, a mescolare il contenuto della pentola sul fornello, borbottio che rompe il silenzio che regna nella stanza.

Eppure, eppure, era diverso quando c’eri, quando in piedi, nel punto esatto in cui sono io adesso, cucinavi, canticchiavi ritornelli di canzoni che ho dimenticato, sussurravi nenie, cantilene, formule che aggiungevano a quel che preparavi un tocco di magia, quel qualcosa in più che non ho più ritrovato in nessun piatto, eppure era diverso, penso, le mie braccia a cingerti i fianchi, le mie labbra ad accarezzarti il collo, mentre, affetti le cipolle sul tagliere.

Io e te, coltelli che si affilavano l’un l’altro, lame taglienti a squarciare le nostre reciproche esistenze, il tuo corpo inerme per terra, io agonizzante, spalle contro il muro d’ingresso, una striscia di sangue lungo tutta la parete bianca, una lama nel fianco impossibile da togliere. 

Gridavo, grido, la fede, il tuo nome, ma non c’era e non c’è risposta nell’aria, solo il borbottio del ragù, suono sordo, a tratti ridondante, porta d’accesso a quel ricordo, a questo presente, dove tu sei qui, dove io sono là con te.