Mia madre me lo diceva sempre…

Guardo perplesso la valigia di cuoio, all’interno della quale, custodisco i miei errori. Sì, la valigia che mi porto sempre appresso, in ogni viaggio, in ogni trasloco, e che ogni giorno diventa più pesante. Sì, la valigia che tengo in camera, vicino al comodino, in modo da poterla sempre avere sott’occhio, e della quale forse, ho già parlato. Ho provato a sollevarla, poco fa, mentre facevo le pulizie, e mi sono fatto male alla schiena, tanto si è riempita durante questi ultimi quarant’anni.

Capita spesso che qualcuno mi suggerisca di disfarmene, ma non posso, sono troppo affezionato a lei, al cuoio logoro, alle sue fibbie in ottone, al profumo di pelle e nostalgia e paure e dolore, al suo contenuto, uno dei miei altrove, uno degli universi all’interno dei quali si dipana la mia vita. No, non potrei mai liberarmene, quel mondo sono io, il re nudo, signore delle mie terre, terribile tiranno che desidera la mia testa, spirale infinita, loop eterno, circolo vizioso tra me e me, sempre in lotta, abbandono impossibile.

Con un piccolo sforzo, spingo la valigia a terra, in orizzontale, dopodiché mi inginocchio, quasi a pregare uno degli Dei al quale sono devoto, lentamente libero le cinghie dalle fibbie, lascio scorrere la zip da un lato all’altro, sollevo il coperchio, guardo dentro. Quanto dolore, quanta violenza, quanto tutto, quanto niente, un liquido nero, opaco, surreale. Mi alzo, vi immergo dentro i piedi. 

Lentamente scivolo giù, avvolto dal liquido denso, forse petrolio, e in un attimo, mi trovo altrove, spazio ovunque, nulla e mostruosità. Fluttuo nel vuoto, astronauta perso chissà dove, dolore e leggerezza, accettazione, appetiti ai quali non posso resistere, profumo terribile di nostalgie lontane, silenzio.

Una luce nel buio mi indica l’apertura della valigia. Non riesco a raggiungerla, e più passo il tempo sospeso in questo nulla infinito, più mi allontano, la luce si fa piccola, diventa un puntino minuscolo, stella polare, ad indicare la via del ritorno.

Continuo a fluttuare, ad allontanarmi, una lacrima scende dai miei occhi e sale su, nel buio infinito. Non ho più mani, non ho più piedi, non ho più niente, sono un pensiero, un’intuizione, sono l’idea di un bambino che viene al mondo per la prima volta, e dire che mia madre me lo diceva sempre, che per fare le cose correttamente, è sempre meglio non immischiarsi con quel tale, il maggiore Tom.