La donna entra in giardino. Ha lunghi capelli bianchi, lisci, che le scendono giù lungo le spalle, raccolti con un nastro rosa. Nella mano destra tiene un secchio, nell’altra stringe un paio di cesoie. Indossa una camicia gialla, un paio di pantaloni beige, stivali di gomma e grembiule, entrambi di colore verde militare, quest’ultimo recante il nome del vivaio per il quale lavora. Mi vede, seduto al tavolino sotto il portico, poggia il secchio per terra, alza la mano in segno di saluto. Forse sorride, ma non posso dirlo con certezza, non indosso gli occhiali da vista e a circa cento metri di distanza il suo viso mi appare leggermente sfocato, distorto, confuso, quasi fosse cera che si scioglie.
Io e la donna ci siamo già incrociati un paio di volte, da quando mi sono trasferito qui. Non conosco il suo nome, ma una volta le ho offerto il caffè e lo abbiamo bevuto in piedi, appoggiati al pozzo di pietra, lei che raccontava qualcosa sulle piante e sul condominio che le paga un forfait per occuparsi del giardino, io che non riuscivo a non pensare al fatto che i suoi occhi, incredibilmente azzurri, fossero così simili a quelli della mia nonna materna, Olga.
La donna guarda le piante sparse nel piccolo appezzamento di terreno, appoggia le cesoie per terra, si colloca al centro di un quadrato immaginario e prende misure, squadra, si ferma, osserva, riflette, una mano a sfiorarsi il mento, l’altra poggiata sul fianco sinistro. Improvvisamente si allontana, scompare dal mio campo visivo, diretta probabilmente al furgone con il quale è arrivata qualche minuto fa, secchio e cesoie abbandonati momentaneamente sull’erba.
Il cielo è una meraviglia oggi, un’altra splendida, calda, giornata di sole, si annuncia ai miei occhi. Le gazze, il gatto dei vicini, qualche uccellino, il ciliegio fiorito, la voce di Paolo Conte che dalle casse dello stereo si diffonde nel salone, scivola fuori dalla porta finestra aperta, solletica le mie orecchie – La comédie d’un jour, la comédie de ta vie, la comédie, la comédie… – canta, mentre la donna torna al centro del giardino, una pianta nella mano destra, una nella sinistra, modifiche di un paesaggio che cambia giorno dopo giorno, vita e altra vita a circondarmi.
Sorrido, finisco di bere il caffè, accarezzo il gatto dei vicini che nel frattempo si è avvicinato a me e coccola il mio stinco, facendo le fusa – Ho capito, ho capito, fammi vedere se mi è rimasto un po’ di tonno… – dico sorridendo, mentre mi alzo ed entro in casa, diretto verso il frigorifero. Dietro le mie spalle, un sordido miagolio, Paolo Conte conclude la sua Come di, il rumore di una zappa che penetra il terreno, cianciare di gazze, vita e altra vita a circondarmi.