Un attimo prima del risveglio…

Cose così, di me, di te e di un mondo che a volte esiste, a volte no, come il suono del telefono mentre attendo risposta alle mie chiamate, o il vibrare del legno sotto il tamburellare regolare delle mie dita. Cose così, di mattini e pomeriggi e sere e notti e di nuovo mattini, secondo dopo secondo, tempo dopo tempo, metronomo dell’esistenza – tic-tac – dice, spostando la sua barra a destra e a sinistra con ritmo regolare. 

Foglie gialle, secche, morte, che gli alberi lasciano andare delicatamente, piccoli paracaduti naturali dell’esistenza universale. Mi aggrappo a loro, cado giù dolcemente. Dondolando spinto dal vento, attraverso il cielo, intraprendo il mio lungo viaggio nell’autunno della vita – stagioni, solo stagioni… – continuo a ripetermi, mentre atterro su una piccola barchetta.

Mi guardo intorno, alberi dalle foglie rosse, dei quali ignoro il nome, salutano il mio arrivo. Non ci sono remi con i quali imporre il mio volere al movimento della piccola barca, che galleggia e si muove lentamente, spinta dalle acque del fiume, diretta verso un luogo che non conosco. 

Qualche secondo, nemmeno il tempo di osservare bene l’acqua, coperta quasi interamente da uno strato di foglie secche, o gli alberi, o il cielo incredibilmente nuvoloso, nemmeno il tempo di respirare, di approfittare di quel momento di quiete, gli argini si allargano improvvisamente e davanti a me si apre un grande lago formatosi all’interno di un cratere di roccia rossa. 

Scolpite nella pietra, statue mitiche di guerrieri, forse eroi, prendono forma, si allungano in una tridimensionalità inquietante, quasi a gettarsi nelle acque scure. I loro volti sembrano mostrare sofferenza, forse a causa di quel forzato attaccamento alla terra dalla quale essi stessi sono stati ricavati, forse per il desiderio doloroso e morboso di volersene liberare per sempre. Li osservo, sguardi persi nel vuoto, la staticità del tempo, dello spazio, del movimento dell’acqua, che lascia scivolare su di se, magicamente, la barca, diretta verso un’isola, un minuscolo appezzamento di terra al centro del grande lago. 

Rocce aguzze ne contornano quasi interamente il perimetro, cipressi scuri ne adornano il centro, un porticciolo ad accogliere i futuri visitatori, strutture in pietra, forse case, forse tombe, sparse all’ombra dei tetri alberi, fanno nascere in me cupi pensieri. Con l’avvicinarsi della barca identifico sulle rocce iscrizioni che non capisco, lettere che non so leggere. Mi pongo domande, ma non trovo risposte e mi sveglio sudato nel letto, un attimo dopo l’attracco.