Fantasmi e Falene…

Notte fonda, il calore della stufa accesa, ghisa fuori, tizzoni rossi sparsi nella cenere sotto legnetti di cipresso dentro. All’esterno il freddo, la pioggia, tempesta notturna che stravolge il mondo al di là delle pareti stanche della mia cucina. I vetri della finestra vibrano leggermente, suono lieve nel silenzio spezzato dalla voce di Vinicio Capossela che legge:A Christmas Carol, in Prose. Being a Ghost-Story of Christmas (Il canto di Natale, 1843) di Charles Dickens. La luce fioca di una lampadina illumina un angolo della stanza, quello occupato in parte dalla stufa, lasciando al misterioso destino del buio tutto il resto.

Nel lavandino cadono gocce a cadenza regolare, si insidiano nella narrazione di Capossela, nel crepitare del focherello all’interno della stufa, nel vibrare dei vetri della piccola finestra che da sul giardino, stravolto dalla pioggia battente. Mi alzo, forzo la chiusura del rubinetto in senso orario, le gocce smettono di cadere. Torno a sedermi sulla poltrona e a concentrarmi sul racconto, sui suoni, le voci, una piccola meraviglia registrata nel duemilauno che, un carissimo amico, ha avuto la cura di inviarmi tramite messaggio. Chiudo gli occhi, immagino Scrooge al buio, davanti al fuoco, mentre intorno a me la cucina è avvolta da ombre inquietanti. Una falena, forse invernale, forse semplicemente ribelle al cambiamento, entrata chissà da dove o residente in qualche angolo nascosto del mio appartamento, fa danzare la sua silhouette scura, gigante, sui vecchi muri ingialliti dal tempo. 

Sento il cuore battere sempre più veloce, quasi come se improvvisamente, fossi finito io all’interno del racconto di Dickens. Una strana angoscia cresce dentro me. Di scatto, guardo verso la porta d’ingresso della cucina e nel buio tento di scorgere la presenza di un qualche fantasma, spiriti burloni in cerca di divertimento – Non c’è alcun gusto a spaventare i vivi… guardali, come son ridotti… sfiniti dall’attuale situazione, non reagirebbero nemmeno all’entità più spaventosa, tanto son terrorizzati dal reale che hanno intorno… – quasi li sento, parlottare tra di loro, prendersi gioco di me, mentre il fuoco all’interno della stufa si fa via via più scoppiettante, i vetri della finestra aumentano le loro vibrazioni e le persiane sbattono forte contro il muro al quale sono fissate. 

Mi alzo, nuovamente, apro la credenza sopra il lavello e prendo un calice. Allungo la mano verso una bottiglia di vino rosso aperta precedentemente, faccio saltare il tappo di sughero che rimbalzando a terra, rotola fin sotto al tavolo e ne verso un po’ all’interno del bicchiere. In piedi, la schiena appoggiata contro il frigorifero, bevo ad occhi chiusi. Sono talmente concentrato sulle parole di Capossela, che quasi non mi accorgo di aver terminato in un sol sorso, tutto il vino appena versato all’interno del bicchiere, che resta vuoto, triste, inutile, tra le mie dita. Lo riempo, quasi per pietà, bevo nuovamente e ripeto il gesto altre due volte, fin quando la bottiglia, triste anche lei, resta vuota sul banco della cucina, inutile come un soprammobile.

Torno a sedermi, vado all’indietro con la testa, Scrooge è in giro con il fantasma del Natale passato, io non so quasi più dove sono. Al termine della notte, nel bel mezzo di una tempesta che non accenna a lasciare in pace il mondo là fuori, adagiato su una poltrona rossa nell’angolo della cucina occupato dalla stufa e da un cesto di vimini ricolmo di legna da ardere, percepisco quasi la mia non-presenza. Apro lo sportello di ghisa, il fuoco appare davanti ai miei occhi, afferro due pezzi di legno, li getto tra le fiamme, lo chiudo nuovamente. Avvicino le mani al calore, le strofino tra di loro, riscaldo i palmi, poi mi lascio andare all’abbraccio della poltrona, chiudo gli occhi, continuo ad ascoltare il racconto e lentamente mi addormento, abbandonando momentaneamente l’esistenza giornaliera che mi sono scelto. Nel buio del giardino, il picchiettare invadente della pioggia, rumori strani, fruscii forti figli del vento violento, cullano il mio addormentamento, mi lascio andare e non esisto più.