Memorie lontane…

Da bambino frequentavo l’asilo in un istituto religioso gestito dalle suore. Per raggiungerlo io e mia nonna, la quale ogni mattina mi accompagnava, percorrevamo a piedi, il viottolo che tagliava in due il campo di erba medica steso dietro il casolare dove vivevamo. Erano pochi minuti di cammino, l’istituto non era troppo distante a quanto ricordo, l’intero paese non era poi così grande.

All’ingresso dell’edificio, una statua della Vergine proteggeva il cancello. Sulla sua testa un’aureola, o più precisamente quello che nell’iconografia classica è chiamato nimbo, in neon azzurro, Paolo Sorrentino scansati proprio, acceso ventiquattro ore su ventiquattro a certificare la santità eterna della donna, giorno e notte, dal lunedì alla domenica, per tutto l’anno.

Una porta di legno e vetri satinati si apriva su un grande atrio grigio, asettico, dove piante di felce, kenzie e banani vivevano tranquille nel più assoluto e rigoroso silenzio, interrotto solamente dal trillo del campanello, dal lieve cigolio della maniglia, dal vibrare dei vetri ogni volta che la porta veniva aperta, nonché dal rumore dei passi delle religiose, quel ticchettio sordo, veloce, austero, proveniente dalle loro scarpe nere a tacco basso. Un Cristo in croce, denominato anche Calvario, ma del quale ancora oggi non ricordo averne mai percepito, almeno all’epoca, la sofferenza, accoglieva chi entrava. Lo sguardo rivolto a terra, la pelle rosa, chiara, lievemente arrosata intorno ai chiodi grigi che lo tenevano ben fisso alla croce di legno.

Dall’ingresso si accedeva alla sala da pranzo, un grande stanzone le cui pareti erano ricoperte di piastrelle verdi, simile al colore della Pasta del capitano e dei nostri grembiulini, arredato con tavolini bassi lunghi e panche, tutte in formica rossa. Un quadro raffigurante l’ultima cena campeggiava su uno dei muri. Ricordo quando in seguito a una lite con uno dei compagni, quello che oggi, nella mia memoria distorta, identifico un po’ come il Franti del libro Cuore di De Amicis, e del quale francamente non ricordo il nome reale, mi spaccai il cranio battendo la testa contro un termosifone e le suorine, allarmate, mi stesero prono su quei tavoli, per tamponarmi meglio la ferita nell’attesa dell’ambulanza. In quell’occasione, il viso rivolto verso la parete col quadro, analizzai in maniera talmente minuziosa quelle figure dipinte, che ancora oggi ne conservo un vivido ricordo nella mia memoria.

Le aule alle quali si accedeva passando attraverso la grande sala da pranzo, erano ordinate e si affacciavano tutte sul grande cortile dove, quando faceva meno freddo, potevamo andare a giocare, cosa che a me capitava di rado, vista la mia naturale predisposizione a essere punito. Avevo un amico al quale ricordo di aver voluto molto bene, si chiamava Ferruccio e c’era una bambina, della quale ricordo essere stato innamorato, si chiamava Giulia. Di entrambi non ho notizie e da allora non ne ho più sentito parlare. Ricordo anche il viso del Franti, le sue sopracciglia nere folte e i capelli a spazzola. Di tutti gli altri compagni invece, non ho memoria, sono grembiulini verdi, pantaloni di cotone e scarpette da ginnastica, nient’altro. Ricordo con affetto anche la suora alla quale ero più legato, si chiamava Gennarina ed ogni pomeriggio, subito dopo il riposino, nel momento di calma, ci portava nella cappella dell’istituto e ci raccontava storie tratte dalla Bibbia.

Ogni tanto ci ripenso a quel periodo così lontano e rifletto su quanto quell’esperienza possa aver influito sul mio percorso di vita. Quella severità e ritualità religiosa, da un lato parametrizza probabilmente la criticità e il rigore che a me stesso rivolgo, alimenta indubbiamente la mia passione per le religioni, per l’antropologia, per l’arte, per la buona lettura e sfocia sicuramente nella mia ribellione alle routine imposte dagli altri.

Tra le letture che ripeto più spesso ancora oggi, insieme al Boccaccio, a Dante e tanti altri, rientrano anche alcuni passi della Bibbia. Certo, non sono religioso, le mie esplorazioni sono guidate soprattutto dal fascino per le storie, per il modo in cui sono scritte, per quello che raccontano e per quello che vogliono comunicare in realtà, ma soprattutto per la loro testimonianza, patrimonio culturale e intellettuale di inestimabile valore. Ecco, ancora oggi, quando mi trovo a leggere estratti della Bibbia, penso sempre a Gennarina, a Ferruccio, ai capelli a caschetto di Giulia e a Franti, l’infame.