Rituali, esorcismi…

Una tazza di caffè, la terza da quando ho aperto gli occhi, appoggiata sul tavolino da tè, vicino a una tua lettera, l’ultima che mi hai inviato, ancora imbustata, a eterna memoria di te che l’hai scritta, sconosciuta alla mia coscienza, poiché per paura, non l’ho mai aperta. La luce di un mattino coperto di nuvole, entra dalle grandi finestre aperte, rendendo il mio salone più tetro, i colori degli oggetti più antichi, come quelli che appaiono nelle vecchie foto che ho appeso alle pareti, ricordo di una storia familiare oramai sfumata in un passato inesistente. Silenzio tutt’intorno, che non vuol dir pace, ma solo assenza di rumore, almeno fuori, dentro invece è un tumulto di suoni e sensazioni e voci, un caos inafferrabile, inarrestabile, costruzioni mentali, illusioni, pensieri, ricordi, riflessioni e poi, dialoghi, scene, frasi che tra un secondo si perderanno nell’oblio, per far spazio ad altro.

Afferro la busta, la guardo, leggo il mio nome, il mio indirizzo, lettera dopo lettera, come se esplorassi il tuo volto in ogni singolo particolare, come se fissassi i tuoi occhi alla ricerca di qualcosa, una via per arrivare al tuo segreto più profondo, o piuttosto, la strada più breve per raggiungere il tuo cervello, i tuoi pensieri, i tuoi desideri più nascosti. Accarezzo la carta, muovendo i polpastrelli delicatamente, come se le mie dita scivolassero dolcemente sulle tue gambe, salendo dal ginocchio, lungo la coscia.

Giro la busta, leggo un nome, l’indirizzo del mittente, qualcuno che un tempo conoscevo, ma chissà, i momenti, i minuti, i treni persi, le stazioni mai raggiunte e poi, i temporali, le giornate di sole e il vento che tutto porta via, insieme ai pensieri che evolvono e crescono, per poi frantumarsi e rigenerarsi in un qualcosa di nuovo, fenici nascoste nella mente umana, forse ti hanno cambiata, chissà chi si cela adesso dietro quel nome, che dentro di me evoca le più nascoste e inconfessabili fantasie di vita e di morte.

Avvicino le dita all’angolo basso dell’apertura della busta, che ribelle alla colla e al tempo, comincia a dar segni di cedimento. In un improvviso attacco di coraggio, faccio per aprirla, delicatamente, e mi sento come tanto tempo fa, quando baciandoti muovevo le dita sulle tue gambe e sentivo improvvisamente scivolare il tessuto della tua gonna sul palmo della mia mano. Il desiderio improvviso cresce, voglia di sapere, voglia inarrestabile di te, alla quale segue immediatamente l’indecisione, l’esitazione, la paura delle cose che vanno e vengono per poi tornare e partire nuovamente, in un via vai infinito che si accompagna al crearsi e distruggersi delle cose dell’universo, caratteristica fondamentale della nostra esistenza. Lascio cadere la busta, come se spingessi per terra te, resto ad osservarla per qualche secondo, prima di allungare il braccio, afferrarla deciso, ed appoggiarla nuovamente sul tavolino. È lì che vive da secoli e non si muove di un centimetro, nemmeno durante i traslochi che la vedono rinchiusa in una busta di plastica scocciata al legno fino alla nuova destinazione.

È lì il suo posto, davanti ai miei occhi giorno e notte. Croce e delizia della mia esistenza, esitazione e decisione, possibilità e impossibilità, esistenza e assenza. Un’avance che rifiuto, ma dalla quale mi lascio tentare, come un Santo o un Monaco in meditazione, in trance. Guardo lontano, all’orizzonte, verso quella parte di mondo che non ti ha ancora vista nascere. Mi alzo, un passo dopo l’altro, e dondolando, come un pazzo o un ubriaco, accenno un ballo nel silenzio di una musica che suona solo nella mia mente. Movimenti scimmieschi, danza rituale messa in atto come ad esorcizzarti, come a placare il tuo cielo in bufera, tempesta eterna nella mia vita. Osservo la busta un’ennesima volta, muovo la gamba, la guardo, sposto la mano, chiudo gli occhi, roteo la testa e giro su me stesso, lasciandomi cadere a terra, quasi morissi tra le tue braccia, in preda ai brividi che solo tu sapevi farmi scivolare lungo la schiena.

Apro gli occhi, la luce nella stanza è cambiata, le nuvole scomparse, il sole a dorare tutto quanto, la Francia che si estende ovunque e tu, scomparsa di nuovo. Prendo la colla, una nuova busta, vi inserisco la tua, un po’ di lavanda, chiudo e adagio il tutto sul tavolino, cristallizzando i tuoi pensieri davanti ai miei occhi, per il resto della mia esistenza.