E c’erano delle sere in cui, i problemi, il lavoro, le angosce e poi, il freddo che arrivava accompagnato dal vento sempre più gelido, la neve che cadeva imperterrita per giorni, giorni e giorni e la barbona che viveva sotto il cavalcavia della ferrovia, ricoperta da strati di sacchi a pelo usati, donati dai passanti, insieme a qualche cartoccio di tomato-soup preso al supermercato poco distante, spingevano i miei passi verso un anonima tavola calda del South-Side, aperta ventiquattrore su ventiquattro.

La notte, già scesa da tempo, le lancette erette ad indicare il numero due, il concierge di colore del residence dove vivevo, che sorridendo, domandava sempre dove andavo, le strade vuote, qualche luce di lampione resa ancor più fioca dalla neve, le ombre degli alberi sparsi nel grande parco, a delimitare un altro mondo, a braccetto con il cemento, il ferro, la plastica e l’asfalto, che mi conduceva fino alle porte a vetro di Jane, le tendine a listelli rosse abbassate per metà, una luce calda, giallognola a squarciare il buio della notte, un insegna rossa sbiadita in rosa con su scritto: open.

Entravo, primo tavolo a destra i soliti giocatori di scacchi che bevendo caffé, aspettavano l’ennesimo avventore da battere, dieci dollari facili. La cameriera in divisa azzurrina con cuciture bianche, appoggiata sempre alla macchina da caffè, lo sguardo annoiato diretto verso lo schermo del telefono, la mano libera ad accarezzare i riccioli marroni che le scendevano giù fino al collo.

Un sorriso, un invito a sedermi, ed io che raggiungevo uno degli sgabelli, il più lontano dalla gente, il più vicino al calore della macchina da caffè. Un neon di fronte a me a indicare la marca della miscela utilizzata, bicchieri incrostati di calcare e tempo, bottiglie sparse un po’ ovunque, una musica non invadente diffusa nella stanza, quasi a cullare il risveglio di alcuni, l’assopimento di altri, note per lo più incomprensibili.

La cameriera arrivava un secondo dopo. Oggi mi chiedo se Jane fosse lei, o la proprietaria, o la figlia del proprietario, la moglie, la sua amata, qualcuno che si scopava, all’epoca non me ne fregava niente, aspettavo solo che si avvicinasse e mi guardasse negli occhi, colpendomi con quel colore verde che mi avrebbe gelato più del freddo dell’Antartide prima del surriscaldamento globale, se solo non avessi abbassato prontamente lo sguardo a osservare la sua immagine distorta sul bancone di acciaio, lucido, pulito. Forse sorrideva vittoriosa, in quel momento, non l’ho mai saputo, ma la sua voce, in contrapposizione al freddo tutto intorno, usciva fuori dalle sue labbra coperte rigorosamente di rossetto, come il calore esce da una stufa appena aperta – Uova, salsicce e toast, Caffè, Sandwich, Hamburger e patatine…o vuoi una torta? – chiedeva, come un disco rotto, ogni volta che la notte mi portava al suo cospetto – Uova, salsicce e toast, caffè e una cherry pie… – rispondevo ogni volta, sempre guardando fisso il bancone del bar, alzando gli occhi solo nel momento in cui lei si allontanava, lenta, in direzione della cucina, dove un tizio chiamato Al preparava quello che avevo ordinato, senza farsi vedere.

E mentre mangiavo e il rumore della mia mascella infreddolita scandiva i minuti che passavano, accompagnando la musica soffusa incomprensibile, alle mie spalle, sentivo la porta che si apriva, la gente che entrava insieme al freddo e la voce calda della cameriera che ripeteva, come un mantra, la stessa frase – Uova, salsicce e toast, Caffè, Sandwich, Hamburger e patatine…o vuoi una torta? – ogni volta, quasi fossero le uniche parole che conosceva.

Uccisa un’ora di tempo, di tristezze, di stanchezza, di insonnia, ammazzata la fame chimica da alcool, tornavo al mondo, salutando, chiudendomi la porta a vetri alle spalle, immergendomi nuovamente nella notte di neve e di gelo, accerchiato dagli alberi cupi, dalla luce distorta dei lampioni, dai rumori lontani delle auto, dal cemento, dall’asfalto, dall’odore forte della barbona. Nelle mie orecchie il suono di quella voce che risuonava fino alle porte di casa, fino al momento in cui, disteso nel letto, chiudevo gli occhi e nel buio sentivo – Uova, salsicce e toast, Caffè, Sandwich, Hamburger e patatine…o vuoi una torta?

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