Commemorazione dei defunti…

Non c’è pace, mi viene da dire, o meglio, nessuno ha mai pace. Mi vuoi parlare di amore? Di lavoro? Di famiglia? Di esistenza? Angoscia. Trovo forse un po’ di tranquillità nel giorno dei defunti, all’interno di sepolcri monumentali, dove dietro porte mezzo arrugginite dai vetri infranti, riposa qualcuno. In pace? Forse. Illusioni per pazzi suicidi, o suicidi pazzi, persone convinte che il porre fine a una vita senza pace, conduca necessariamente alla conquista di ciò che non si ha, pace, appunto. Trovo forse un po’ di tranquillità disteso nell’erba, tra due sepolcri, sistemazioni quasi eterne, almeno fino allo scadere dell’affitto comunale, per persone a me sconosciute. Visto da qui, il cielo, appare ancor più bello, ma non so se dipenda dall’odore di morte che mi circonda, dai profumi emanati da fiori marci strappati a qualche coltivazione, estirpati alla vita per decorar qualche sentimento di mancanza. Visioni sinestesiche, rimescolio di sensazioni multisensoriali impossibili da provare in altri giorni, in altri luoghi, che non siano un cimitero sperduto di campagna, il due novembre.

Tranquillità, non pace, lieve sensazione di magra soddisfazione momentanea, effimera come l’odore di una scoreggia, scomoda come il rimescolio delle budella prima di lasciarla andare, noiosa, come il rumore sordo che emette interrompendo il silenzio circostante. Mi guardo intorno, non c’è nessuno, colpa del covid? Dell’indifferenza? – Pardon! – dico, osservando la croce di tale Marcel Biguine e sorridendo imbarazzato. L’uomo, nato più di due secoli fa e morto il secolo scorso, lo sguardo austero, ricambia il mio sguardo, nascondendo la sua espressione dietro un paio di baffoni chiari. Mi chiedo se l’ho disturbato, se ho interrotto per un secondo quello che stava facendo, poi torno a guardare il cielo, azzurro, privo di nuvole.

Tranquillità, non pace, la mia mano accarezza qualche ciuffo d’erba, delicatamente, quasi fossero i capelli di una ragazza sconosciuta, che non vedo, ma che distesa di fianco a me si affaccia alla vita, nell’intensità del cielo, contempla la morte tutt’intorno. Un moscone nero si posa improvvisamente sul palmo della mia mano. Lo scaccio, scompare, ritorna. Mi alzo di scatto e mi siedo, di fronte a me compare Marion Despardieux nata e morta il secolo scorso, pianta dalla figlia e dal marito, che hanno inciso il loro dolore sulla sua pietra tombale, tentativo ultimo di rovinarle la pace anche nell’aldilà, nel caso esista davvero, questa pace ideale.

Mi alzo in piedi, cammino, solo i cimiteri di campagna sono rimasti impregnati dai colori dei versi di Foscolo, dai deliri più tetri di Pavese. Due cipressi, una quercia, tutt’intorno un muro di cinta, che ha perso gran parte del suo intonaco originario, lasciando nudi mattoni rossi cotti sotto a un sole di chissà quanti secoli fa. Sparse qui e là, cappelle antiche, mausolei, croci di ferro arrugginite a rappresentare l’ammontare di conti in banca oramai estinti. Quanto costa la pace? Se mai esista, è chiaro. Mi incammino verso l’uscita, l’erba si fa ghiaino, migliaia di sassetti bianchi a definire la direzione maestra, Pollicino che ritorna a casa dopo esser stato abbandonato dalla famiglia? O dalla vita stessa? Non lo so, in tempi di carestia o crisi, non si sa mai a che Santo o personaggio aggrapparsi.

Il cancello di ferro, anch’esso arrugginito si apre di fronte a me. Alla mia destra un cassonetto di lamiera, sopra il quale un gatto rosso raspa alla ricerca di qualcosa, cibo probabilmente. Alla mia sinistra una panchina in pietra e un calvario, dal quale Gesù sembra essersene andato, tanto la pittura sul tabernacolo si è deteriorata. Partito anche lui alla ricerca di pace? Magari impiccato alla catenina di qualcuno, diretto chissà dove.

Un anziano in bicicletta passa davanti a me. Cappello di paglia in testa, la barba bianca, pantaloni neri e camicia bianca indossa e una sciarpetta rossa intorno al collo. Alza il braccio in segno di saluto e sorridendo felice dice – Buongiorno! – con un forte accento romanesco. Non ho il tempo di salutare, il passaggio davanti a me è troppo veloce, il tempo è implacabile, come la morte, dinamico come la vita. L’uomo prosegue per altri cento metri, poi perde l’equilibrio, cade. Lo sento richiamare a sé tutti i Santi festeggiati ieri. Corro verso di lui, la pace non esiste – Nonnetto ha bisogno di aiuto? Certo che andare in bici alla sua età…meglio a piedi – gli dico. Mi guarda negli occhi – A regazzì, le vie del Signore sono infinite, prendine una e vattene affanculo…  –  dice, dopodiché si alza e se ne va senza voltarsi. Lo osservo allontanarsi – Ciao Gigi, la pace forse non esiste, nel caso, vedi di trovare rimedio a questa mancanza… – gli sussurro, poi torno sui miei passi mentre lui, dietro di me, scompare.