Di ore perdute, raramente ritrovate…

Apro gli occhi, la bocca impastata, un po’ di mal di testa, sudore freddo a bagnare la mia maglietta bianca, mi guardo intorno confuso. La sveglia, appoggiata su una mensola poco distante dal letto, barrette rosse su sfondo nero, indica le otto e mezza, ma l’iPhone appoggiato sul comodino dice invece che sono le sette e mezza. Comincia così, con un conflitto tecnologico incomprensibile, la mia strana domenica. L’interazione tra l’uomo e la macchina spesso genera confusioni di questo tipo. Chi ha ragione dei due? Chi ha torto? Mi trovo nel passato, all’inizio di un ora apparentemente già vissuta secondo la mia sveglia, oppure sono nel futuro? Mi son improvvisamente dimenticato di vivere un ora della mia vita? O realmente non l’ho vissuta? Oppure l’ho vissuta e ancor peggio non me lo ricordo? Ho un difetto di memoria?

Che poi, sentir parlare di passato e di futuro osservando uno scarto di un’ora appare banale, in tutti i film e i romanzi, che girano intorno all’argomento dei viaggi nel tempo, i protagonisti si spostano attraverso gli anni o addirittura i secoli, sessanta minuti appaiono un soffio al confronto. Eppure, quanti cazzo di eventi accadono in un ora? Cadono i governi, nascono i bambini, ci si innamora, si divorzia, si affrontano operazioni chirurgiche, si fanno esami importanti e chissà quante altri milioni di cose succedono, in un arco di tempo che sembra così ristretto.

Rifletto, il battito del mio cuore non è preparato a questo genere di conflitti, i miei neuroni improvvisamente si desincronizzano, la mia percezione del mondo si fa frammentaria, confusionaria. Il tempo, la mia ossessione, mi presenta due versioni differenti del suo scorrere e faccia a faccia con questo paradosso, anche il problema più futile diventa mastodontico. Per esempio, di solito faccio colazione alle otto del mattino in punto, ed è una delle mie routine preferite, quindi come mi muovo adesso? Ha ragione l’iPhone, di conseguenza posso andare a preparare le mie tartine al burro e miele o ha ragione la mia sveglia Sony, ricevuta in regalo nel novantunesimo anno del vecchio secolo, per la mia prima comunione, e quindi sono in ritardo per la colazione, o peggio ancora, l’ho fatta e non me lo ricordo più? Panico.

Continuo a riflettere, faccio uno screening del mio corpo, non riesco a capire se ho fame o meno, anche i miei neuroni appaiono confusi. Di solito apro gli occhi e sento il bisogno di mettere qualcosa sotto ai denti, ma in questo momento non provo quel languorino che caratterizza i miei risvegli, quindi mi chiedo, i miei ritmi hanno seguito l’orario sulla sveglia Sony o quello sul telefono Apple? Il mio corpo e la mia mente esitano, presi dall’indecisione improvvisa.

Piccoli flash luminosi frastagliano il mio campo visivo, in una confusione mentale da risveglio traumatico, mentre nelle mie orecchie risuonano le note di quel cazzo di pezzo ossessivo dei Radiohead, quel capolavoro dal titolo: Daydreaming e mi chiedo come mi sia saltato alla mente proprio quel brano. Sento le musiche magnifiche, affascinanti, ipnotiche e la voce conturbante di Yorke: Dreamers, they never learn, beyond the point, of no return, and it’s too late, the damage is done.

La stanza è ben illuminata dal sole, che con la sua luce forte, violenta i vetri della mia finestra e fa brillare le pareti da poco imbiancate. Facendo mente locale, raggruppando i pensieri, trovo il bandolo della matassa, la soluzione al problema. La fame non arriva e forse, per ore, non arriverà, a conferma che l’ora della colazione è già passata, come dice la vecchia Sony, ma l’iPhone è però, sicuramente, colui che si trova sulla stessa linea temporale del mondo intorno a me. Così, rassicurato, mi siedo sul letto, con le mani massaggio le ginocchia, chiudo e apro gli occhi rapidamente, poi mi alzo e mi accingo a vivere quest’ora di scarto, che per la Sony è già passata mentre per il mondo deve ancora venire. In un limbo temporale assurdo, mi muovo, passo dopo passo, mattonella dopo mattonella, secondo dopo secondo, battito dopo battito, scarica neurale dopo scarica neurale, nonostante tutto, esisto ancora. Accendo lo stereo, metto il cd dei Radiohead: This goes beyond me, beyond you.