Vita?

Mi succede di pensarti, spesso, nelle tue due anime, quella che conoscono tutti e quella che conosco soltanto io. Mi succede di farlo, osservando, di sfuggita, gli indizi di vita che dipani qui e là, mentre distratta, giorno dopo giorno, esisti in maniera più concreta.

Mi succede di pensarti, a volte ci sei a volte scompari, poco male, lo faccio anche io. Quando entrambi però, nello stesso millisecondo, ci illuminiamo assieme, succede la magia.

Il tripudio di luci e di colori che si spandono attorno è uno spettacolo che al confronto, le notti di San Lorenzo, diventano uno zigzagare di lucciole, il trentuno dicembre invece, non esiste. Se penso al momento, quello nostro, da addii e partenze colossali, che si frantumano al cospetto di un infinito troppo piccolo per contenere anche uno solo dei nostri pensieri, mi perdo, e non ritrovo più la via della mia sanità mentale.

Come un pazzo cammino a piedi nudi nell’erba fresca, in un tramonto che sa molto di te e poco di morte, illuminato da una luce così lieve da far struggere il mio cuore, ennesima vittima di un’incredibile malinconia, che da troppo, poco tempo, vaga tra le cellule del mio corpo.

C’è un uccello strano sul ramo dell’albero che sto osservando, in questo giardino sperduto chissà dove. Ha piume rosse e nere con qualche sfumatura di azzurro, il becco giallo, gli occhi neri come il peggior vissuto che riesco a ricordare. Mi guarda, emette un verso che non ho mai sentito, che non capisco, che non so decifrare, ma i suoi occhi parlano per lui e dicon tutto ciò che c’è da sapere, sull’esistenza della vita e della morte. Mi avvicino, vola via, tradendo il più incredibile dei segreti, che sfugge ancora una volta alla mia percezione, alla mia comprensione, lasciandomi così, come pianta immobile a subire un’esistenza costretta.

Mi succede di pensarti mentre esisti al mondo, in qualche tempo e luogo all’interno del quale io non ho accesso, se non sotto forma di pensiero, sotto forma di ombra diafana che scompare e riappare a seconda della luce intorno a te. Anche tu sei della stessa mia forma, della stessa mia materia e danzi col vento e posso scorgerti, espressa in milioni di creazioni naturali differenti che appaiono intorno a me improvvisamente, ad ogni batter di ciclio.

Sei la divinità che fa nascere i giorni, che pregna dell’esistenza di ogni essere nato prima e dopo di te, partorisci ogni minuto la bellezza dell’istante vissuto, del momento universale, eterno, che così tanto noi umani, fatichiamo a scorgere. Il passato non esiste più, il futuro non è mai esistito, il presente sei tu, fugace respiro della vita, che penetri i nostri orifizi, che vaghi dentro di noi, inzozzata del sangue delle nostre ferite.

Mi succede di pensarti bella come non sei mai stata, splendente come non sarai mai, mentre minuto dopo minuto ti osservo incredulo, ti creo, ti distruggo, per il piacere di vederti nascere e morire, fin quando non chiuderò gli occhi e mi abbandonerò all’eternità incolore di un’esistenza senza buio.