Io e Livia

C’è qualcosa di meraviglioso nella notte che scende su un giorno passato a divertirmi con mia figlia Livia. Abbiamo scelto di passare questo sabato in piscina, oziando sui lettini al fresco di un grande albero, giocando con sirenette e animali vari e tuffandoci ogni cinque minuti in acqua, per combattere il gran caldo. Ci siamo decisamente affaticati, o almeno, lei si è molto affaticata, io sono morto.

È stato un piacere stasera, sedermi di fronte a lei al tavolo del ristorante e vederla stanca, sfinita. Mia figlia come tutti i bambini della sua età, fortunatamente, non esaurisce mai le batterie, ma se mi impegno bene fino a giocarmi la mia intera riserva di energie, sono abbastanza bravo a metterla KO.

Ha faticato a salire le scale di casa e non appena varcata la soglia del mio appartamento, ha trovato a malapena le forze per lavarsi i denti e mettersi il pigiama. Infine si è distesa sul mio letto – Babbo, me la racconti una storia di paura? – ha chiesto sorridendo con l’occhio un po’ chiuso – Ma se sei stanca morta! – ho risposto sorridendo. In quel momento, ha messo insieme tutta le energie che aveva ancora in corpo, ha aperto gli occhioni e mettendosi in ginocchio sul letto mi ha detto scuotendo la testa – Guarda che io non sono mica piccola! Non ho per niente sonno ancora! – muovendo la mano come se mi rimproverasse. Poi si è sistemata e mi ha guardato aspettando la sua storia. Alla fine del C’era una volta già russava e a me è scappata una sincera risata che l’ha fatta lievemente sussultare, ma che non l’ha sveglitata.

Adesso la sto guardando dormire e penso che queste sono le giornate che mi appagano davvero. Sono un po’ stanco, le forze di cui ho bisogno quando è in forma così sono tante e avere ogni secondo l’attenzione focalizzata su di lei, stando attendo ad ogni pericolo, cercando di calcolare ogni imprevisto, certamente mi affatica ancora di più, ma che gioia vederla ridere ininterrottamente. La osservo rannicchiata su sé stessa come un gatto, la testa appoggiata sulla mia spalla e una mano sul mio petto, mentre io sto scrivendo questo post. La piccola luce sul comodino la illumina in parte e la fa sembrare ancora più piccola di quello che è, sebbene per la sua età non sia poi così grande. Ogni tanto le dita della sua mano si chiudono improvvisamente, come se afferrasse qualcosa, forse un sogno meraviglioso che in qualche modo le sta sfuggendo. Il suo bofonchiare rende il silenzio che regna nella stanza più musicale. C’è più vita quando lei è a casa con me, il silenzio magicamente, non esiste più. Le accarezzo i capelli biondi, fini, lisci, morbidi e lei muove la testa, sorride lievemente e a me piace immaginare di poter apparire in qualche suo sogno, solo attraverso il mio sfiorarle la testa o il viso con le dita.

Sfido io che si sia addormentata così improvvisamente, ha passato la maggior parte del giorno a nuotare da un lato all’altro della piscina – Facciamo a chi arriva prima dall’altro lato…chi vince ha vinto! – mi diceva, e poi partiva cercando di sincronizzare i movimenti delle mani e dei piedi, mentre io da dietro nuotavo lentamente dicendole – Vai Livia, uno due, uno due! Dai che vinci! – e ricordandole di muovere le gambe nel momento in cui se ne scordava.

È stata una giornata così, semplice, genuina, vera, di quelle che poi con il passare del tempo diminuiranno, per i sempre più numerosi impegni di lei che inevitabilmente crescerà e per i miei anni che passeranno altrettanto inevitabilmente, ma è stata bella, una giornata di quelle da ricordare. Mentre cenavamo mi ha detto – Non sei male come papà! – e mi ha fatto ridere. Avrei voluto raccontarla a mio padre questa giornata, perché il viverla me ne ha fatta ricordare una talmente lontana nel tempo da essere quasi finita nell’oblio della memoria, se non me ne fossi ricordato oggi. Pazienza, la racconto qui.

Guardo Livia che dorme e la ringrazio, non solo per essere una figlia meravigliosa e per le risate e gli attimi di gioia che mi dona, ma perché ogni giorno tenta di farmi diventare un papà niente male.