Di Beirut, Hiroshima e dignità

Sono passati due giorni da quando le immagini della grande esplosione avvenuta a Beirut, sono piombate nelle nostre case mostrando nuovamente ai nostri occhi, l’orrore dell’impotenza umana davanti a avvenimenti così distruttivi. Da un lato un’esplosione di una violenza inaudita, dall’altro morti, feriti e un sacco di persone che hanno perso tutto.

Come per ogni evento di questo tipo, la tentazione di soffermarsi sul fatto in sé stesso, per cercare una spiegazione sul perché sia avvenuto, è grande. Opinione di molti, peraltro superficiale e banale, è bollare le persone che indulgono nella tentazione di dare una loro opinione sullo svolgimento dei fatti come tuttologi, narcisisti, maniaci di protagonismo, millantatori di conoscenze e competenze, in questo caso di geopolitica, che in realtà non hanno. Sebbene in certi casi questa definizione si adatti benissimo ad alcuni individui, il mondo è bello perché è vario, una visione generalista di questo tipo può comunque indurci, in alcuni casi, in errore.

Parlare dell’evento in sé stesso, generando discussioni infinite, spesso può servire ad evitare di rivolgere l’attenzione verso la sofferenza generata dall’evento stesso, sottraendosi così all’insorgenza di paure relative alla nostra labile incolumità. Possiamo fare un esempio concreto su questo punto, andando indietro di settantacinque anni e ripensando alla bomba lanciata su Hiroshima proprio oggi, sei agosto. Appare interessante notare per esempio, anche leggendo il libro bianco sui danni dell’atomica, quanto la concentrazione delle persone e degli addetti ai lavori sia stata molto più diretta verso le cause e il potenziale distruttivo della bomba, piuttosto che verso l’infelicità che l’esplosione e la conseguente distruzione hanno provocato.

La verità è che quando assistiamo ad un’esplosione come quella di Beirut o altre alle quali abbiamo assistito in passato, dentro di noi si innescano meccanismi mentali inimmaginabili, in parte proprio legati all’evento di Hiroshima, ai milioni di immagini che abbiamo visto in tv e nei libri di storia e la paura in qualche modo si impossessa di noi, talvolta a livello conscio spesso a livello inconscio. Le reazioni quindi possono essere essenzialmente due, da un lato il tentativo di dare una spiegazione all’evento, esorcizzandolo se vogliamo, dall’altro quello di dimostrare in qualche modo la vicinanza alle persone che in questo momento stanno soffrendo.

La verità è che la ferita di Hiroshima non si è ancora rimarginata e come dice lo scrittore e Premio Nobel Kenzaburō Ōe nel suo reportage Note su Hiroshima (attualmente introvabile in Italia), non è una ferita che appartiene al popolo Giapponese, bensì a tutto il genere umano. Parafrasando le sue parole riportate all’interno del libro: Hiroshima è come una ferita aperta su tutto il genere umano, e al pari di tutte le ferite, anche questa pone due possibili sviluppi: la speranza di guarigione da un lato e il pericolo di un’infezione fatale dall’altro…”. Impossibile non connettere i due eventi, Beirut e Hiroshima e impossibile non connettere ad essi tutte le altre esplosioni volute o risultato di incidenti, che si sono susseguite davanti ai nostri occhi nel corso degli ultimi settantacinque anni. Impossibile non pensare alla paura che fuoriesce insieme al sangue di quella ferita ancora aperta.

Ma allora, che cosa può salvarci da questa paura che ci portiamo dietro in quanto abitanti della terra nell’era nucleare? Certamente non il volgere il nostro interesse esclusivamente all’evento in sé stesso, ricercando dietrologie e capri espiatori che scaccino la paura di un nuovo conflitto o di qualcosa che ci riguardi molto da vicino. Indubbiamente può aiutarci il ricordo degli errori umani passati, il mantenimento della memoria collettiva atta a preservare bene in mente ciò che non dobbiamo mai più fare, ciò che dobbiamo assolutamente evitare, per il nostro bene, per il bene dei nostri cari, della terra e di tutti coloro che la abitano. Infine la dignità umana che possiamo respirare durante questi eventi e che probabilmente è il concetto più importante e rassicurante, solo essa infatti, può aiutarci a supportare la nostra vita.