Cento…

Cominciai a scrivere su questa pagina cento giorni fa, presentando un pezzo su l’odiosa sinusite che mi affliggeva durante il periodo di confinamento, da allora non ho più smesso. Nell’arco di questi cento giorni ho accarezzato un sacco di argomenti a me cari, raccontato storie che mi sono cadute tra le mani per caso, condiviso episodi più o meno tristi della mia vita e cazzeggiato, in perfetta coerenza con il mio modo di essere.

Mi ero ripromesso di dedicare a questa pagina mezz’ora al giorno, il tempo che di solito impiego per creare un pezzo di circa tremila battute e così ho fatto, tralasciando completamente il lato stilistico del sito che a me non è mai interessato. Qualcuno, per esempio, mi prende in giro per un fantomatico widget che non riesco a togliere e che compare alla fine dei miei pezzi, qualcun altro mi rimprovera di essere anacronistico, poiché non inserisco foto, tralasciando quella che da molti webmaster è considerata la componente più importante, in questo secolo dove la comunicazione per immagini è diventata predominante. A me tutto questo non è mai interessato, la mia attenzione è rivolta esclusivamente alla stesura del pezzo. Scrivo quello che mi viene naturale, che esce fuori dalle mie dita senza alcuno sforzo mentale e che si traduce in storielle talvolta simpatiche, altre volte amare, ciniche e perché no, è capitato, anche terribili. Il mondo è così, si nasconde dietro questi e tanti altri aggettivi e a me piace scinderlo in miliardi di atomi, per arrivare al nucleo di qualche storia che possa attirare il mio interesse.

Poi ci siete voi e questa è proprio forte, devo per forza raccontarvela. Io non vi aspettavo mica. Non ci sono foto, non ci sono hashtag, il mio viso pressoché incazzato quasi scaccia i possibili visitatori della pagina, della quale certamente non è attraente nemmeno il nome che ho scelto, Claudio a pezzi, lascia immaginare più un uomo in preda a una crisi di nervi, che vive gli ultimi giorni della sua vita, piuttosto che qualcosa di simpatico. Beh, tutto questo non vi ha fermato e in tre mesi, con un sito pressoché anonimo, dove se non ci si capita per leggere qualcosa non ci si arriva, ho superato le undicimila visualizzazioni e i duemila visitatori. Per me, che essenzialmente scrivo per la mia memoria, è un risultato incredibile e sono felice di non avervi attirato qui con mille hashtag o con qualche foto accattivante raccattata su google. Sono felice anche di vedere che vi piace leggere i miei pezzi, il rapporto tra visualizzazioni e visitatori mi fa pensare che in molti casi ne leggete più di uno, se non tutti quanti e questo non può farmi altro che piacere.

Che cosa posso dire, penso sia doveroso ringraziarvi per l’attenzione che dedicate a quello che scrivo qui, sperando che in molte occasioni questo possa aiutarvi a trovare spunti, letture, idee, insomma qualcosa per sfangare quelle che a volte sono giornate impantanate nella noia e nella tristezza.

Infine ringrazio tutti coloro che mi sostengono giorno dopo giorno, coloro che mi aiutano nei momenti più difficili, coloro che mi amano e coloro che mi scrivono in privato per commentare qualcosa, per dirmi che il pezzo gli è piaciuto o che li ho fatti ridere. La mia vita è finemente e saldamente cucita alla vostra, come in uno di quei bellissimi arazzi fiamminghi della fine del quindicesimo secolo che fanno parte del ciclo The lady and the Unicorn, e l’opera che insieme formiamo è altrettanto meravigliosa.

Concludo questo pezzo con la frase che i Beatles usarono per sigillare la chiusura della loro avventura: And in the end, the love you take, is equal to the love you make…