Di cene al ristorante, metropolitane e Gitani con la chitarra

Ieri sera sono uscito per andare a cena con un paio di amici e festeggiare così, la riapertura dei ristoranti e dei bar, che in Francia era appunto programmata per il due giugno. È stato strano sedere al tavolo e vedere le persone intorno a me munite di mascherina, osservare con sguardo diffidente gli altri, con espressioni rese ancor più inquietanti dai volti semi-coperti, come a chiedersi: chi sarà l’appestato tra questi? Per festeggiare un quasi ritorno alla normalità abbiamo mangiato il Plateau Royal, un grande vassoio di frutti di mare serviti freddi, in parte crudi, un’esplosione di colori e forme bizzarre a formare ricci di mare, ostriche, vongole, aragoste, granchi e gamberi, che abbiamo ben innaffiato con un paio di bottiglie di vino bianco di Cassis, niente male. Arrivata l’ora di ripartire, abbiamo installato le nostre mascherine e ci siamo persi nella notte. I miei amici sono rientrati a piedi, io mi sono diretto verso la stazione della metropolitana più vicina. Sebbene fossero da poco passate le nove, la stazione della metro era deserta, il vuoto completo, inquietante. Seduto su una panchina, aspettando il mio treno, mi sono improvvisamente ricordato di una vicenda vissuta nel duemilaotto, della quale mi ero completamente dimenticato.

Dopo aver partecipato a una festa, della quale a causa dell’alcool mi ricordo molto poco, mi ritrovai ad aspettare la metro con due sconosciuti, dei quali ancor oggi, ripensandoci, ignoro l’identità. Ci sedemmo su una panchina e probabilmente mi addormentai per qualche minuto, perché ricordo che aprii gli occhi e mi ritrovai immerso nel buio più profondo, da solo, la coppia non c’era più. Ci misi qualche minuto a comprendere che il treno era probabilmente già passato e che le luci erano spente perché la metropolitana aveva terminato l’orario di servizio. Mi alzai e come un forsennato raggiunsi le scale mobili dell’uscita che ovviamente erano spente. Le salii a quattro a quattro, l’alcool ancora in corpo e quando arrivai in cima, trovai l’entrata sbarrata dalla rete di protezione. Colto dal panico cercai il cellulare per chiamare qualcuno, ovviamente al numero di emergenza nessuno rispose. Mi guardai intorno, l’uscita della metropolitana era a cielo aperto e intorno, a protezione, c’erano delle grandi vetrate che terminavano ai lati dell’inferriata che sbarrava l’ingresso. In preda all’alcool e a un’isteria dovuta alla situazione, dopo aver tentato varie volte di raggiungere il numero di telefono per le emergenze decisi di scalare la vetrata per saltare dall’altra parte. Non ricordo bene come feci, probabilmente mi aiutai poggiando i piedi sui gancetti di ferro che tenevano uniti tra di loro le vetrate, quello che so è che riuscii a passare dall’altra parte con un salto e che atterrai davanti a una coppia di ragazzi che nascosti dietro i vetri si stavano baciando. Ricordo che sorrisi, alzai la mano in segno di saluto e canticchiando una canzone mi allontanai a piedi in direzione di casa mia.

Ieri sera non mi sono addormentato nella stazione come quella volta, ero stanco e forse un po’ troppo angosciato, impossibile non esserlo ripensando all’atmosfera surreale nel ristorante del dopo covid. Appena il treno è arrivato, sono salito, e immediatamente mi sono ritrovato davanti un chitarrista gitano munito di mascherina dei Gipsy King che avvicinandosi, nel vagone c’ero solo io, ha incominciato a cantare: Marina, Marina, Marina…ti voglio al più presto sposar! Ho pensato che sarebbe stato meglio dormire in stazione, o essere completamente ubriaco, piuttosto che ascoltare quell’obbrobrio e sorridendo ho messo la mia mano di lattice in tasca e ho dato alcune monete all’uomo.