Di Dante e cantieri

La sera, prima di andare a dormire, lascio volutamente gli spiragli della tapparella aperti. Lo faccio perché le finestre della mia camera guardano proprio in direzione del sole mattutino, quindi di conseguenza so, che se non mi sveglierò in preda a una forte smania dell’esistenza nel cuore della notte, aprirò certamente gli occhi svegliato dai primi raggi del sole, che compariranno lenti da dietro le colline che circondano Marsiglia.

Questo è successo stamane, il sole è arrivato e ha trascinato la mia mente e il mio corpo nella realtà domenicale, nel silenzio di una città, che nonostante il giorno fosse già sorto, ancora riposava sorniona. Mi sono alzato per andare in bagno e sono inciampato in una pila di libri, lasciati alla loro esistenza nell’angolo tra il letto e il comodino. I volumi si sono sparsi sul pavimento e io ho sentito un dolore lancinante al mignolo, finito contro la poderosa versione de La Divina Commedia illustrata da Gustave Doré. Tornato dal bagno e sedutomi sul letto, il mignolo ancora dolorante, ho guardato il volume e mi sono ricordato di quando, al mercato estivo di Santa Fiora, alle pendici del Monte Amiata, assillai mio padre perché me lo comprasse. Avevo dieci anni ed ero rimasto folgorato dalle meravigliose incisioni di Doré che erano comparse davanti ai miei occhi quando, attratto dalla copertina rossa e nera, avevo incominciato a sfogliare il volume. Come succede a volte, guardando qualcosa che ci colpisce nel profondo, ricordo ancora l’incisione che per prima mi si parò davanti, la caduta di Lucifero dal Paradiso, una meraviglia. Mio padre comprò il libro e dovette anche portarlo a spasso per tutto il mercato visto le dimensioni dell’opera, non ne fu troppo felice. Una volta arrivati a casa, sotto il boschetto di cipressi che circondavano la nostra abitazione, lo sfogliammo insieme ed io me ne innamorai talmente tanto da acquistare, nel corso degli anni successivi, svariate opere illustrate dallo stesso autore, come l’Orlando Furioso e una bellissima enciclopedia edita in quattro volumi sulla storia delle crociate.

Ho sollevato il libro da terra e l’ho preso sulle ginocchia sorridendo, l’illustratore sulla copertina, è indicato con un italianizzato Gustavo Doré e non con il suo vero nome, Gustave. Lentamente ho iniziato a far scorrere le pagine, là dove in passato ho attaccato numerosi post-it gialli e arancioni, circa un centinaio. Ho notato che nel corso degli anni ho apportato varie sottolineature a parole e terzine, annotando a fianco commenti un po’ ovunque, commenti dei quali non ho memoria, in alcuni casi.

Ho richiuso il libro, mi sono alzato, e diretto in cucina ho iniziato a preparare il caffè. Non riuscendo a trovare le cialde e continuando a pensare a tutte quelle note perse chissà dove tra i miei neuroni, mi è venuto naturale fare un confronto con il sommo poeta e la sua leggendaria memoria. Una leggenda Fiorentina, narra infatti che Dante usasse sedersi spesso su una pietra, non lontana da dove oggi sorge la Cattedrale di Santa Maria del Fiore in Firenze, per riflettere. Un uomo, passando di là e vedendolo assorto nei suoi pensieri gli avrebbe chiesto Oh Dante! Icchè ti piace di più da mangiare? E il poeta avrebbe risposto l’ovo! Un anno dopo, lo stesso uomo che si sarebbe trovato ancora a passare di là vedendo nuovamente Dante seduto sulla pietra, gli avrebbe chiesto ancora Co’ icchè? E l’altro avrebbe risposto Co’ ì sale!

Ho scosso la testa, io a volte non ricordo nemmeno quello che ho mangiato la sera prima, ho pensato. Ho aperto la finestrella della cucina che dà su una viuzza laterale alla mia palazzina, per cambiare un po’, l’aria della stanza e guardando di sotto ho notato due uomini che stavano osservando un cantierino aperto ieri dagli operai municipali, per risolvere un problema alle tubature dell’acqua. Ho sorriso, Dante su quel sasso della leggenda, sembra fosse solito sedersi per riflettere e osservare i lavori delle fondamenta della Cattedrale. Certe abitudini non cambiano proprio mai, ho pensato.