Di Uomini e Donne capaci, che morirono a Capaci

E c’erano tredici fanciulle turche che per aver commesso chissà quali colpe, di cui oramai si è persa la memoria, furono messe su una barca senza nocchiero e lasciate in balia delle onde, perché il mare le punisse. La barca per giorni e giorni navigò senza meta in balia di tempeste e chissà quali altre diavolerie nettuniane, dopodiché approdò su un isolotto della baia di Carini, nella nostra bella e controversa Sicilia. Evidentemente quei reati non erano poi così gravi, se il dio del mare guidò la loro barca verso quell’isolotto così meraviglioso, o forse rimase vittima del loro fascino, visto che anni dopo, anche Plinio il Giovane, in una lettera indirizzata a Traiano, descrivera l’isola come residenza di donne bellissime. Comunque siano andate le cose, le fanciulle vissero là per sette lunghi anni.

In seguito, come succede nelle migliori fiabe e leggende, furono ritrovate dai parenti, che presi dal rimorso, subito dopo averle abbandonate alle onde, erano andati in cerca della loro barca e non trovandola, avevano viaggiato per sette lunghi anni attraverso tutto il mediterraneo. Una volta riunite, le famiglie, organizzarono grandi feste e anche i parenti, colpiti dalla bellezza dell’isola, come ne erano state colpite a loro volta le fanciulle, decisero di stabilirsi lì, sull’isolotto, nella nostra bellissima Sicilia. Per commemorare quel momento e quel trasloco definitivo, inoltre, fondarono un’altra cittadina, sulla terraferma, che in seguito abitarono e che chiamarono Capaci (qui la pace), mentre l’isolotto che si era preso cura delle loro donne fu ribattezzato Isola delle femmine.

Poi passarono secoli incredibili dove avvenne di tutto, cose meravigliose e vicende terribili, fino al ventitré maggio del millennovecentonovantadue in quel momento della giornata che dal pomeriggio verte alla sera. Quel giovedì alle ore 17:57, nel territorio tra Capaci e Isola delle femmine, esplose la bomba che fece saltare in aria Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti Vito Schifani, Rocco Dicilio e Antonio Montinaro. Quell’ordigno dopo aver cancellato la loro esistenza, detonò a sua volta tante piccole bombe, nascoste nel cuore delle persone che sognavano un Italia più onesta, un paese meno violento, senza mafia. Quelle persone oggi hanno scritto un post, hanno messo una fotografia, hanno ricordato quel momento, e molte di loro non l’hanno fatto solo per like, ma perché ancora oggi dopo svariati anni chiedono una giustizia che realmente non c’è stata, chiedono che tutte quelle leggende nate intorno alla strage di Capaci siano finalmente annientate e che un velo di verità si stenda su questa terribile vicenda. Perché se da un lato immaginare di femmine esotiche che finiscono su un isolotto ci fa sognare, non sapere ancora quali furono i legami tra la mafia e lo stato, all’epoca, accettando silenziosamente tutti i miti e le leggende assurde che ci sono state propinate da allora fino adesso, non ci fa sognare un cazzo cari miei, proprio un cazzo.